Erano cent’anni che la principessa dormiva stregata da un maleficio, in
verità non dormiva sempre, la strega cattiva aveva deciso che avrebbe
dormito di giorno- mentre tutta la corte era sveglia- e sarebbe stata
sveglia di notte- mentre gli altri dormivano. Per questo era sempre sola,
non aveva nessuno con cui parlare, ridere e piangere, nessuno che potesse
confortarla o sostenerla: non c'era proprio scampo alla sua prigionia! Dove mai sarebbe potuta andare di notte, tra i monti e i boschi tutta
sola? Ormai quasi si era rassegnata alla privazione della libertà e alla
solitudine, anche se in cuor suo sperava sempre che un giorno un principe
azzurro sarebbe venuto a liberarla, ma i giorni passavano e di lui nemmeno
l’ombra.
Di notte la principessa si prendeva cura della sua persona, consumava le
pietanze che le preparava di giorno la servitù, leggeva, disegnava,
danzava agitando come una farfalla le lunghe maniche della veste. Aveva
anche l'abitudine di sedersi davanti a una finestra del castello a
fantasticare, ricordando i volti e le voci dei suoi cari, l’azzurro
dell’immenso cielo che ora vedeva sempre e soltanto colorato di nero, la
musica degli uccelli tra le foglie che ora più non udiva....ma il tempo non
passava mai, sicché un bel giorno di maggio si stancò di questa
situazione e decise di tentare la fuga dal castello.
Si disse:
- Ora vado, scappo via! Voglio proprio vedere se la strega
riesce a prendermi! -
E così, messo in un sacco una borraccia piena d’acqua, un po’ di pane e
biscotti per sostentarsi durante il viaggio e un sacchetto di monetine
d’oro, lo legò a un bastone che appoggiò su una spalla e, approfittando di
un varco nel fogliame che la strega aveva fatto crescere intorno al
castello per occultarlo, scappò.
La notte era buia buia, il cielo nero nero, il silenzio profondo
interrotto solo di tanto in tanto dalle voci sinistre delle creature della
notte: upupe, gufi, civette, pipistrelli. Iniziò ad avere paura persino
del suo respiro e del battito accelerato del suo cuore, pentendosi
amaramente della fuga.
- Povera me, povera me! - si lamentava ad alta voce - forse sarebbe più
saggio tornare indietro, chissà in quali pericoli potrei imbattermi
continuando il cammino! -
Era scoraggiata, avvilita, aveva timore di andare avanti e non riusciva
più a trovare la strada per tornare indietro. Sconsolata si sedette sotto
una quercia e cominciò a piangere, quand’ecco che nell’oscurità intravide
il luccichio di due occhi.
- Sono quelli della strega del maleficio! - pensò ad alta voce la
principessa terrorizzata. E invece no, erano quelli della figlia della
strega che, come lei, era scappata.
- Non ne potevo proprio più di stare chiusa nella capanna nel bosco tutto
il giorno con mia madre ad imparare sortilegi, malefici e fatture, voglio
viaggiare, conoscere il mondo! - le confidò la figlia della strega, poco
dopo essersi presentata.
- Ho del pane e dei biscotti, ne vuoi? - chiese la principessa con voce
ancora un po’ tremante per la paura.
La figlia della strega accettò e rimasero quasi tutta la notte sotto
l’albero a parlare. E fu così che la principessa scoprì che la figlia
della strega cattiva aveva la sua stessa età, i suoi stessi desideri e non
era affatto cattiva come la madre.
Poi si addormentarono, strette l’una all’altra. A svegliarle fu il canto
melodioso del cuculo alle prime luci dell’alba: allora decisero di non tornare
indietro, alle rispettive abitazioni, ma di continuare insieme a fuggire.
Avrebbero visto nuovi monti, nuovi boschi, nuove pianure, nuovi fiumi,
nuovi laghi e sarebbero arrivate fino al mare, poi lì avrebbero deciso
dove andare: di certo non sarebbero mancate nuove mete da raggiungere! E
chissà, magari durante il loro cammino avrebbero conosciuto persino due
principi. E se il destino per loro non prevedeva amore, sapevano di poter
contare sulla loro amicizia, bene ancora più raro e prezioso.
Si allontanarono mano nella mano, cantando allegramente un vecchio brano
che entrambe conoscevano, mentre tutt’intorno la natura si risvegliava.
Il sole ormai dissolve la tenebra lunare
già le nevose cime viene a imporporare.
Sentiamo per il bosco il cuculo cantare,
ai piedi di una quercia lo stiamo ad ascoltare.
Cucù, cucù,
l'inverno
non c'è più,
è ritornato maggio al canto del cucù.
Cucù, cucù, cucù ...