Francesca Santucci

AL CANTO DEL CUCÙ

(Antologia AA.VV., "Scarpetta rosa", Apollo edizioni 2019)

 

 

 

 

 

Erano cent’anni che la principessa dormiva stregata da un maleficio, in verità non dormiva sempre, la strega cattiva aveva deciso che avrebbe dormito di giorno- mentre tutta la corte era sveglia- e sarebbe stata sveglia di notte- mentre gli altri dormivano. Per questo era sempre sola, non aveva nessuno con cui parlare, ridere e piangere, nessuno che potesse confortarla o sostenerla: non c'era proprio scampo alla sua prigionia! Dove mai sarebbe potuta andare di notte, tra i monti e i boschi tutta sola? Ormai quasi si era rassegnata alla privazione della libertà e alla solitudine, anche se in cuor suo sperava sempre che un giorno un principe azzurro sarebbe venuto a liberarla, ma i giorni passavano e di lui nemmeno l’ombra.
Di notte la principessa si prendeva cura della sua persona, consumava le pietanze che le preparava di giorno la servitù, leggeva, disegnava, danzava agitando come una farfalla le lunghe maniche della veste. Aveva anche l'abitudine di sedersi davanti a una finestra del castello a fantasticare, ricordando i volti e le voci dei suoi cari, l’azzurro dell’immenso cielo che ora vedeva sempre e soltanto colorato di nero, la musica degli uccelli tra le foglie che ora più non udiva....ma il tempo non passava mai, sicché un bel giorno di maggio si stancò di questa situazione e decise di tentare la fuga dal castello.
Si disse:
- Ora vado, scappo via! Voglio proprio vedere se la strega riesce a prendermi! -
E così, messo in un sacco una borraccia piena d’acqua, un po’ di pane e biscotti per sostentarsi durante il viaggio e un sacchetto di monetine d’oro, lo legò a un bastone che appoggiò su una spalla e, approfittando di un varco nel fogliame che la strega aveva fatto crescere intorno al castello per occultarlo, scappò.
La notte era buia buia, il cielo nero nero, il silenzio profondo interrotto solo di tanto in tanto dalle voci sinistre delle creature della notte: upupe, gufi, civette, pipistrelli. Iniziò ad avere paura persino del suo respiro e del battito accelerato del suo cuore, pentendosi amaramente della fuga.
- Povera me, povera me! - si lamentava ad alta voce - forse sarebbe più saggio tornare indietro, chissà in quali pericoli potrei imbattermi continuando il cammino! -
Era scoraggiata, avvilita, aveva timore di andare avanti e non riusciva più a trovare la strada per tornare indietro. Sconsolata si sedette sotto una quercia e cominciò a piangere, quand’ecco che nell’oscurità intravide il luccichio di due occhi.
- Sono quelli della strega del maleficio! - pensò ad alta voce la principessa terrorizzata. E invece no, erano quelli della figlia della strega che, come lei, era scappata.
- Non ne potevo proprio più di stare chiusa nella capanna nel bosco tutto il giorno con mia madre ad imparare sortilegi, malefici e fatture, voglio viaggiare, conoscere il mondo! - le confidò la figlia della strega, poco dopo essersi presentata. 
- Ho del pane e dei biscotti, ne vuoi? - chiese la principessa con voce ancora un po’ tremante per la paura.
La figlia della strega accettò e rimasero quasi tutta la notte sotto l’albero a parlare. E fu così che la principessa scoprì che la figlia della strega cattiva aveva la sua stessa età, i suoi stessi desideri e non era affatto cattiva come la madre.
Poi si addormentarono, strette l’una all’altra. A svegliarle fu il canto melodioso del cuculo alle prime luci dell’alba: allora decisero di non tornare indietro, alle rispettive abitazioni, ma di continuare insieme a fuggire. Avrebbero visto nuovi monti, nuovi boschi, nuove pianure, nuovi fiumi, nuovi laghi e sarebbero arrivate fino al mare, poi lì avrebbero deciso dove andare: di certo non sarebbero mancate nuove mete da raggiungere! E chissà, magari durante il loro cammino avrebbero conosciuto persino due principi. E se il destino per loro non prevedeva amore, sapevano di poter contare sulla loro amicizia, bene ancora più raro e prezioso.
Si allontanarono mano nella mano, cantando allegramente un vecchio brano che entrambe conoscevano, mentre tutt’intorno la natura si risvegliava.

Il sole ormai dissolve la tenebra lunare

già le nevose cime viene a imporporare.
 

Sentiamo per il bosco il cuculo cantare,

ai piedi di una quercia lo stiamo ad ascoltare.

 

Cucù, cucù,  l'inverno non c'è più,

è ritornato maggio al canto del cucù.

 

Cucù, cucù, cucù ...


 

 

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