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C'è nel cuore una forza intrinseca che gli dà forza contro la
violenza esterna.
Ogni colpo che lo scuote serve a indurirlo contro il colpo
futuro;
come il lavoro continuo indurisce la pelle delle mani e ne
rafforza i muscoli invece di indebolirli.
(Anne Brontė, “Agnes
Grey”)
Della felice triade femminile Brontė la voce più tenue, ma non
per questa meno valida, appartiene ad Anne (1820-1849), la
minore delle tre sorelle, intelligente, tenace, molto
religiosa, da tutti descritta come dolce e gentile,
1
apparentemente impassibile, in grado, invece, di sopportare
grandi sofferenze senza riversarle su chi le stava accanto,
molto affezionata a suo fratello
Branwell,
e, benché non lo dimostrasse, segnata profondamente dallo
strazio della vita che il giovane aveva malamente consumato.
Nata
nel 1820 a Thornton, si spense di tubercolosi a soli ventinove
anni a Scarborough, località nella quale aveva ambientato i
suoi romanzi e dove avrebbe dovuto curare il male di famiglia
che affliggeva anche lei. Anne
fu educata in casa, dove studiò musica e disegno. Insieme alle
sorelle e al fratello Branwell partecipò alla stesura dei
racconti giovanili, dando vita, con Emily, usando lo
pseudonimo di Acton Bell, all’immaginario mondo poetico di
Gondal (mentre Charlotte e Branwell elaborarono il
leggendario ciclo di Angria in prosa); e fu proprio da
una sua creatura fantasiosa dell’infanzia, Ross, che derivò,
poi, il personaggio di Arthur Huntington nel suo romanzo
“L'inquilina di Wildfell Hall”.
..jpg)
Charlotte Brontė, Anne, acquerello (17 giugno 1834).
Nel
1834, sempre insieme ad Emily, cominciò a scrivere un diario,
in cui venivano annotati pensieri, riflessioni, episodi della
vita quotidiana, che continuò a redigere ogni quattro anni, in
occasione del compleanno della sorella, fino alla fine della
sua vita. Desiderosa di crearsi una vita indipendente, Anne s’impiegò
come istitutrice, assentandosi spesso da casa (come Charlotte,
del resto) e dovette subire amare esperienze; la più triste fu
quella di vedere scacciato per indegnità suo fratello Branwell
dalla stessa famiglia dove lei insegnava. Insieme a Charlotte e ad Emily, nel 1845 Anne pubblicò la
raccolta collettiva di liriche, che costò loro cinquanta
sterline, “Poesie di Currer, Ellis ed Acton” (gli pseudonimi
scelti, volutamente ambigui, né maschili né femminili,
lasciano riconoscere ciascuna delle tre donne dall’iniziale) La
raccolta di poesie non ebbe, però, il successo sperato (furono
vendute solo due copie), sconfortando Emily, ma non la
determinata Charlotte, che propose a vari editori, insieme al
suo romanzo “Il professore”, anche “Wuthering Heights” di
Emily e “Agnes Grey” di Anne. “Il
professore” fu rifiutato dall’editore, ma Charlotte, tenace,
scrisse di getto “Jane Eyre”, che fu subito pubblicato con
successo, e, con i primi guadagni, poté finanziare la
pubblicazione dei due romanzi delle sorelle, e così anche
“Agnes Grey” di Anne vide la luce nel 1847, firmato con lo
pseudonimo di Acton. Nel
1848 morirono Branwell ed Emily, e Anne pubblicò “L'inquilina
di Wildfell Hall". Due
anni dopo, di salute delicata fin dalla nascita, si ammalò
gravemente di tubercolosi e il 28 maggio 1849 si spense, a
soli quattro giorni dall’arrivo, a Scarborough, nello
Yorkshire, dove aveva voluto essere accompagnata da Charlotte
e dall’amica Ellen Nussey per vedere il mare e per curarsi
della stessa forma di tubercolosi che aveva colpito anche le
sue sorelle.
Fu sepolta nel cimitero di Saint Mary's ai piedi del castello
di
Scarborough. Così
i suoi ultimi momenti nel racconto di Elizabeth Gaskell:
Mandammo a chiamare un dottore. Si rivolse a lui con grande
compostezza: Quanto tempo ancora le dava? — non esitasse a
dirle la verità visto che lei non aveva paura della morte. Il
medico ammise con riluttanza che l'Angelo della morte era già
al suo fianco e che il flusso della vita scorreva via
rapidamente. Lo ringraziò per la sua sincerità ed egli se ne
andò per tornare quasi subito. Lei
era ancora seduta in poltrona, aveva un aspetto così sereno,
così fiducioso: non vi era posto per una qualsiasi
dimostrazione di dolore benché tutte sapessimo che la
separazione era imminente. Giunse le mani e chiese
riverentemente la benedizione dall'alto: prima per la sorella,
poi per l'amica, alla quale disse: “Sii sorella in mia vece.
Da’ a Charlotte quanto più puoi della tua compagnia.” Poi
ringraziò ciascuna di noi per la nostra affettuosa gentilezza
e le nostre attenzioni. Di lì a poco si manifestò l'affanno
cagionato dalla fine ormai imminente; la trasportammo sul
sofà. Udendoci chiedere se non si sentisse più comoda, ci
guardò affettuosamente e disse: “Non siete voi che potete
sollevarmi; ma presto tutto andrà meglio per i meriti del
nostro Redentore” e quasi subito, vedendo che la sorella
stentava a dominare il dolore, aggiunse: “Coraggio, Charlotte, coraggio.” La sua fede non vacillò e gli
occhi non le si appannarono fin quando verso le due,
quietamente e senza un sospiro, passò dal tempo all'eternità.
Qualche giorno dopo la morte
dell’amata sorella,
Charlotte annotò:
La
sua lotta non è stata dura, se n’è andata rassegnata con una
gran fede in Dio…La sua serena morte cristiana non mi ha
spezzato il cuore come la fine assurda di Emily…Della morte di
Emily non riuscivo a darmi una ragione. Volevo tenerla con me,
e la voglio ancora adesso. Ma Anne sembrava che fin
dall’infanzia si preparasse ad una morte prematura.2
E il 21 giugno 1849, a quasi un mese di stanza dal tragico
evento, le
dedicò questi versi:
In morte di Anne Brontė
Ben poca gioia mi rimane
e scarso terrore della morte;
ho assistito all’ora del trapasso di colei
per la cui salvezza avrei dato la vita.
Osservandone in silenzio il debole respiro
desiderando che ogni sospiro fosse l’ultimo;
in attesa di vedere l’ombra della morte
impadronirsi di quelle amate sembianze.
La nube, l’immobilità destinata ad allontanare
da me il tesoro della mia esistenza;
e poi ringraziare Dio dal profondo del cuore
ringraziarlo tanto e con fervore;
pur sapendo di aver perduto
la speranza e la gioia della nostra vita;
e ora, al buio e in balìa della tempesta
da sola dovrò sostenere il tedioso conflitto.
(Trad. Maddalena
De Leo)
Donna discreta, amabile e gentile, Anne Brontė scrisse con
serena nobiltà fino a poco prima di morire: celebre è la sua
ultima lirica, “Orrenda una tenebra avanza”, composta fra il 7
e il 28 gennaio 1849, sentendo avvicinarsi la fine.
Poetessa dolcissima, anche se non dotata del talento
visionario di Emily, Anne fu autrice di versi aerei e lievi,
garbati e gentili, dalle tonalità crepuscolari, non privi
della componente mistica presente anche nelle sue sorelle, ma
capace anche di imprimervi una nota satirica e sarcastica.
Molti i componimenti di argomento religioso, scritti di
domenica, con il lessico della tradizione evangelica,
predilette le descrizioni delle ore notturne, come nel
componimento “Night”.
Notte
Amo l’ora silente della notte
perché è allora che subentrano sogni felici
a rivelare alla mia vista incantata
ciò che da sveglia non riesco a percepire.
Una voce sfiora il mio udito
quella che la morte ha reso muta da tempo
Riaffiorano così speranza ed estasi
a sostituire solitudine e dolore.
Freddo nella terra giace da anni
colui a cui guardavo con gioia,
e solo i sogni possono riportarmi
colui che è caro al mio cuore.
(Trad. Maddalena
De Leo)

Anne Brontė, Donna che guarda il
tramonto del sole sul mare (1839).
L’animo mio si risveglia, lo spirito si libra
L’animo mio si risveglia, lo spirito si libra
e si eleva sulle ali della brezza;
perché intorno e sopra di me il vento selvaggio ruggisce
portando all’estasi terra e mari.
L’erba da lungo avvizzita si volge al sole
e gli alberi nudi agitano i rami verso l’alto;
le foglie morte sotto di loro danzano allegre,
le nuvole bianche si rincorrono nel cielo azzurro.
Vorrei guardare l’oceano che sferza
la schiuma dei suoi flutti in vortici di spruzzi,
vorrei vedere come s’infrangono le fiere onde
e udire oggi il muggito selvaggio del loro fragore.
(Trad. Maddalena
De Leo)
Anne
diede ottime prove anche come scrittrice. Le sue esperienze di
istitutrice confluirono nel suo primo romanzo, largamente
autobiografico, “Agnes Grey”, del 1847,
la storia
di una ragazza che subisce diversi rovesci di fortuna senza,
però, mai venir meno ai suoi saldi principi morali, opera di
non eccelso valore, ma importante perché mostra le difficoltà
che incontravano nell’età vittoriana le donne della classe
media che intraprendevano una delle poche professioni che
potesse offrire loro rispettabilità. A quel tempo, infatti, le
ragazze venivano educate essenzialmente alla preparazione al
matrimonio, pochi i lavori che potevano esercitare; chi voleva
guadagnarsi da vivere dignitosamente poteva svolgere o
l’attività di governante o quella di istitutrice, proprio come
la protagonista del romanzo di Anne.
Agnes Grey ha una famiglia perfetta, i suoi genitori, che si
sono sposati
contro il volere delle rispettive famiglie,
si amano moltissimo, e adorano sia lei che l’altra figlia,
Mary.
Quando la sua famiglia cade in disgrazia, Agnes,
per aiutare l'economia
domestica,
ma soprattutto per
conoscere il mondo e dimostrare a tutti che ha delle qualità,
si allontana da casa e
s’impiega come
istitutrice, l’unica scelta rispettabile che possa fare per
sopravvivere.
Sarebbe stato bellissimo fare l’istitutrice. Vedere il mondo,
iniziare una nuova vita; agire liberamente, esercitare facoltà
inutilizzate; mettere alla prova una forza sconosciuta;
guadagnarmi da vivere e guadagnare qualcosa per aiutare mio
padre, mia madre, mia sorella, oltre a liberarli dell’impegno
di pensare al cibo e ai vestiti per me; far vedere a papà che
cosa sapeva fare la sua piccola Agnes, convincere la mamma e
Mary che non ero una creatura inerme e spensierata come loro
credevano.
(Anne
Brontė,
“Agnes Grey”, La canonica).
Agnes è entusiasta di prendersi cura dei bambini, ma i figli
dei ricchi di cui si occupa sono indisciplinati e viziati.
A questo punto il romanzo di Anne Brontė diviene un
appassionato saggio sull'educazione e sull'istruzione e una
lucida analisi della corruzione della buona società e del lato
oscuro della ”rispettabile” natura umana, opposti al rigore
morale della protagonista.
Colpevoli dell’ignoranza e dell’indisciplinatezza dei bambini
ricchi, viziati e incontrollabili, sono i genitori, che non
riconoscono le loro responsabilità, ma addossano, invece, la
colpa di ogni manchevolezza dei loro figli all'istitutrice,
non riconoscendo che, richiamandoli, non viziandoli, lei
agisce con fermezza e moralità. Agnes cerca con energia di far valere i suoi saldi principi in
un mondo sempre più vacuo, perso fra le vanità e privo di
scrupoli ma, allo stesso tempo, ritrovandosi sola nelle sue
convinzioni, senza nessuno con cui condividerle, perciò si
chiude nel suo carattere poco espansivo, finché non arriva il
signor Edward Weston, buono, retto e affascinante, anche lui
un po' introverso, con i suoi stessi principi morali, con il
quale intesserà un dialogo in sintonia d’anime.
Il romanzo,
privo della passione travolgente di “Jane Eyre” e dell’epopea
tragica e maledetta di “Wuthering Heights”,
venne totalmente offuscato dal romanzo di Emily pubblicato
nello stesso anno, tuttavia è scritto in una prosa essenziale,
elegante e scorrevole, e conquista la modernità
della protagonista che a tutti i costi vuole affermarsi
attraverso il proprio lavoro, e che decide di trovarsi un
compagno solo per amore.

Anne Brontė (1840)
Firmato, intitolato e datato: "Anne Brontė", "What You Please",
25 luglio. 1840, questo disegno quasi certamente fu realizzato
da Anne mentre era a Scarborough, durante la sua prima estate
con la famiglia Robinson. Edward Chitham, uno dei biografi di
Anne, ipotizza che l'immagine possa simbolicamente
rappresentare Anne in precario equilibrio nella sua nuova
vita lontana da Haworth.
Il secondo romanzo di Anne Brontė, molto
più intenso del primo, "The Tenant of Wildfell Hall"
(“L'inquilina di Wildfell Hall"), del 1848, che
s’ispira al personaggio di Branwell, morto per abuso di alcool
e droghe proprio in quell’anno, narra il dramma di una donna,
Helen Lawrence Huntingdon, che, per proteggere il figlio e se
stessa dalla degradazione del marito, ubriacone e adultero,
dopo aver, comunque, cercato di far funzionare il matrimonio,
scappa via con il bambino e con un’anziana domestica, e si
rifugia in un villaggio sotto un altro nome, quello di Helen
Graham (il cognome della madre), fingendosi vedova, perciò,
per avvalorare la sua condizione, si premura di indossare i
vestiti del lutto: abito e cuffietta di seta nera, mantella
nera, velo nero.
Che trepida gioia quando il
cancellino si chiuse dietro di noi mentre sgusciavamo fuori
dal parco! Poi, per un attimo, mi fermai a inalare una boccata
di quell’aria fresca, rinvigorente, e a lanciare uno sguardo
indietro alla casa. Tutto era buio e immobile; nessuna luce
brillava dalle finestre; nessuna spirale di fumo oscurava le
stelle che luccicavano in alto nel cielo gelato. Mentre davo
l’addio per sempre a quel luogo, scena di tanta colpa e
infelicità, fui contenta di non averlo lasciato prima, perché
ora non c’era dubbio sull’opportunità di quel passo, non c’era
un’ombra di rimorso per l’uomo che lasciavo; non c’era nulla a
turbare la mia gioia se non la paura di venire scoperta; e
ogni passo ci portava più lontano da quella possibilità.
(Anne Brontė, “L'inquilina di Wildfell
Hall”, 44. Il rifugio)
L’arrivo di Helen Graham nell’isolata e
cadente residenza di Wildfell Hall, sperduta nella campagna
inglese, è un evento per la piccola comunità del luogo,
incuriosita anche dal fitto mistero che sembra avvolgere
l’avvenente ma ritrosa donna, che vive in modo molto
riservato, dedicandosi solo alle cure amorevoli del figlio
Arthur e alla pittura, limitando al minimo i contatti con i
vicini. Il suo atteggiamento, tanto riservato e
quasi scostante, non manca di suscitare pettegolezzi e
dicerie, e anche Gilbert Markahm, il giovane gentiluomo di
campagna, che apre e chiude il romanzo con una serie di
lettere che scrive al suo amico e cognato sugli eventi che
hanno portato all'incontro con sua moglie (Helen), preoccupato
soltanto dei suoi terreni e, fino ad allora, a corteggiare
belle fanciulle frivole e superficiali, pur fortemente
incuriosito da quella donna che lo tratta con insolita
freddezza, ma nei cui occhi pieni di sentimento […]
legge un ardore, un’intensità, finisce per prestare
credito alle dicerie sul suo conto e rinuncia alla bella
amicizia che, pazientemente, era riuscito a instaurare con lei
vincendone la diffidenza. Quando, però, la donna gli
consegnerà il proprio diario emergeranno i dettagli del
disastroso passato che si è lasciata alle spalle: un
matrimonio sbagliato con Arthur Huntingdon, un “libertino”,
che aveva sposato convinta di poter redimere, ma abbandonato
nel momento in cui si è accorta che avrebbe potuto dare al
figlio la stessa sciagurata impronta psicologica e culturale
contro la quale lei combatteva. Nel diario, scritto tra il 1821 e il
1827, anno del suo arrivo a Wildfell Hall, Helen descrive il
declino fisico e morale del marito attraverso l’alcol e i suoi
disperati tentativi di allontanare il consorte dal bere e di
sottrarre il figlio dalla sua negativa influenza, ma anche la
deludente vita coniugale di due persone chiuse nelle loro
solitudini, nei loro silenzi, bravissima, Anne Brontė, a
raccontare, pur non avendola sperimentata di persona, l’altra
faccia dell’amore, cioè cosa accade in un matrimonio a due
persone costrette, fallita l’unione, venuti meno il sentimento
e il rispetto, a condividere lo stesso spazio. Il romanzo, che all’uscita ebbe un
notevole successo, tanto da avere subito una seconda ristampa,
non piacque a Charlotte (che, morta Anne, ne impedì la
ripubblicazione), probabilmente perché il personaggio del
marito "cattivo" era ispirato allo scapestrato Branwell:
come Branwell, infatti, Arthur Huntingdon è bello, libertino
e alcolizzato. Ma il libro non venne apprezzato nemmeno
dalla critica, per le accurate descrizioni della crudeltà e
dell’alcolismo cui si abbandona Huntington -abbruttito dalle
sue stesse azioni- e per il linguaggio deplorevole utilizzato,
eppure ha una grande forza, soprattutto per il personaggio di
Helen, di straordinaria modernità, femminista ante litteram,
che, trovando un unico rifugio nel rispetto che, fino alla
fine, prova per se stessa, e sostenuta dalla fede, si pone
contro la morale del tempo,
le convenzioni sociali e persino la legge inglese del XIX
secolo, trovando il coraggio di lasciare il marito,
abbandonare il tetto coniugale, pagando il suo gesto
coraggioso con il discredito, il disprezzo altrui e la
solitudine (momentanea, poi ritroverà l’amore con Gilbert). May Sinclair, la scrittrice, critica
letteraria britannica, sostenitrice del movimento per il
suffragio femminile e portavoce della Woman Writers'
Suffrage League, nel 1913 commentò che lo sbattere
della porta della camera di letto di Helen Huntingdon contro
il marito risuonò in tutta l’Inghilterra vittoriana e, in
effetti, oggi la maggior parte dei critici considera “The
Tenant of Wildfell Hall” uno dei primi romanzi femministi. Anne non ebbe il talento visionario e la
tormentosa fantasia di Emily, né la ricchezza d’immaginazione
e la continuità di Charlotte, ma fu un’abile romanziera, e le
sue narrazioni furono sempre sostenute da una forte esigenza
morale, come dimostra la scelta di Helen, la protagonista del
romanzo “L'inquilina di Wildfell Hall", allorché,
scoperto il tradimento del marito, venuto meno, insieme al
rispetto, l’amore per lui, consapevole e responsabile, decide
di cercare la salvezza morale allontanandosi col figlio, brava
nel raccontare in semplicità temi importanti, osando sfidare
la morale vittoriana
affrontando temi
scomodi come le differenze di classe, i
vizi umani,
la
crudeltà matrimoniale e
l’adulterio,
e occupandosi della
condizione delle donne, allora relegate nei confini della
sfera domestica, con dei romanzi che la
rendono una
precorritrice del femminismo.
Ricordiamo che in Inghilterra al tempo delle Brontė le
donne occupavano un posto marginale nella società, secondo la
legge non erano considerate persone, dipendevano in tutto dal
marito che disponeva della loro persona e dei loro beni, non
avevano alcun diritto sui figli e non potevano divorziare.
Bisognò attendere il 1839, dopo cinque anni di lotte, perché
fosse approvato l’Infants Custody Bill, che garantiva
loro la custodia dei figli in caso di divorzio, il 1869
perché, con il Municipal Franchise Act, quelle che
disponevano di proprietà potessero godere del diritto al voto
nelle elezioni locali, il 1870, con il Married Women’s
Property Act, perché fosse consentito alle donne
sposate di avere diritti assoluti sulle loro proprietà, il
1875 perché alle donne fosse concesso di frequentare la
scuola, e fino al 1918 perché ottenessero il suffragio
universale. Oscurata per troppo tempo dalla fama
straordinaria di Emily e Charlotte, Anne merita di essere
riconsiderata, soprattutto per il suo secondo romanzo, che è
sicuramente all’altezza dei grandi titoli delle sue celebri
sorelle, per originalità, modernità, per la straordinaria
capacità di sondare l’abisso in cui può cadere un uomo
abbrutito dal vizio (ma Anne, attraverso Helen, è impietosa
anche con le figure femminili intaccate dal vizio e dalla
debolezza) e per il coraggio di una donna di sfidare le
convenzioni.
NOTE
1)
Spak M., Emily Brontė La vita, Le lettere,
Firenze 1999.
2)
Gaskell E., La vita di Charlotte Brontė.
3)
Anne, Charlotte,
Emily Brontė, Poesie, traduzione di Silvio Raffo e
Anna Luisa Zazo, Oscar Mondadori, Milano 2004.
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