Bruno Brillante

 

 

 

 

 

 

LE LUNGHE GIORNATE IN SEGHERIA

 

(Antologia AA.VV., "Racconti di libertà", Historica edizioni 2023) 

 

 Il gioco è libertà, ma la libertà non è un gioco.

(Fausto Melotti)

 

Dopo mangiato nessuno poteva trattenerci dal correre in segheria a giocare, eravamo liberi di passare le ore di luce all’aperto, passando in rivista tutti i giochi conosciuto e tramandati di generazione in generazione, con i dovuti “ aggiornamenti”.  “Nascondino”, o “ nascondere”, chi andava “sotto”, contava fino a 31 (chissà perché proprio quel numero) e poi doveva cercare e “ stanare”( “ Tana”, tra l’altro, era il nome usato per lo più al nord per questo gioco) gli altri che velocemente cercavano luoghi dove nascondersi.

“Un due tre …stella!”

“Regina reginella, quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello?”

“Mosca cieca.”

“Tocca ferro o tocca legno.”

La “ Settimana”. Era, questo, un gioco prevalentemente praticato dalle bambine. Fino a un po’ di tempo fa, ancora si vedevano sui marciapiedi segni, più o meno sbiaditi, del semplicissimo schema del gioco. Varie caselle numerate dove piedi e pietre  si alternavano nel ripetere un gioco antichissimo.

 “Giocare fuori al palazzo”

‘O rre se ne saglie ‘o rre” (sul primo ragazzo, appoggiato al muro, piegato sulle ginocchia, saltavano uno alla volta gli uni sugli altri fino al punto di cadere tutti a terra).

Ore e ore trascorse all’aperto, tra anfratti e nascondigli, su pile di tronchi o nel deposito della segatura raccolta dal taglio della legna. L’odore della segatura mi rimanda ancora agli anni dell’infanzia lontana e ancora evoca immagini, fantasie, emozioni.

Pomeriggi che diventavano sere velocemente e , finite le scuole, giornate intere  a giocare, interrotte solo dai richiami materni per il pranzo e la cena.

Il mondo magico dei bambini crea mondi paralleli sconosciuti ed invisibili agli adulti; ed ecco una serie di luoghi con dei nomi ben precisi, ad indicare luoghi d’incontro, nascondigli , rifugi e altri punti di riferimento. Alla sera, prima del rientro in casa che segnava la chiusura della giornata “fuori”, a turno, qualcuno sfidava gli altri, e la paura, e si cimentava in una corsa attraverso un itinerario stabilito  e collaudato, lungo tutto il perimetro della segheria.

Dunque, la segheria, un posto dove si lavorava il legno, trasformandolo in tavole o riducendolo in ceppi a seconda dell’esigenza dei clienti, per noi ragazzi era altro, era la libertà, era un insieme di luoghi di un immaginario che ci accompagnò per gli anni delle scuole elementari e che negli anni successivi lentamente, ma inesorabilmente, si trasformò, perdendo pezzi sempre più consistenti del suo paesaggio originario cosi come nei nostri cuori.

La trasformazione coincise non solo con la nostra crescita, ma anche con gli anni del consumismo e della corsa verso una progressiva industrializzazione e cementificazione. Era arrivata la televisione, che andava divenendo sempre più invadente e “ seduttiva”. Il legno non si segava più a mano, con enormi seghe manovrate da due operai seduti ai lati opposti del  tronco tirando a turno la sega aggrappati ai robusti manici. La sega elettrica artigianale dei primi tempi, venne ben presto rimpiazzata da macchinari semoventi su rotaie che riducevano di molto i tempi di lavoro per tronchi sempre più grandi. E poi arrivarono le seghe a motore, rumorose ed inquinanti, e fu la fine.

 

 

 

 

Back

 

Email 

 

 

clic sul banner  per accedere al sito personale di Bruno Brillante