Francesca Santucci

COME NACQUERO LE LUCCIOLE

(dall'antologia AA.VV., Ti racconto una favola, Kimerik 2018)

 

 

 

Siamo qui, nell'oscurità, sospesi tra la poesia delle lucciole e il fuoco divampante delle stelle.

(Susanna Tamaro)

 

Fu davvero un prodigio meraviglioso quello che una volta accadde, che stupì grandi e piccini, ma ascoltate bene la storia che vado a narrarvi.
Quel torrido giorno d’estate in paese si era abbattuto un insolito temporale, violento come sempre sono tutti i temporali, ma non rapido e passeggero, durò fino al tramonto inoltrato.  Pioggia battente, lampi scintillanti, tuoni fragorosi e reboanti sferzarono le case, tormentarono le cime degli alberi, piegarono le delicate testoline dei fiori, costringendo tutte le creature della natura a cercare riparo nelle case, nelle tane e nei nidi, e ovunque ci fosse un sicuro nascondiglio.
Passata la tempesta, però, le chiome degli alberi si ricomposero e tornarono a svettare verdeggianti, i fiori si scrollarono l’acqua dai petali e rialzarono le loro testoline, gli uccellini, asciugati piume e penne, abbandonarono i ripari e ripresero voli e canti, e gli abitanti del paese si precipitarono in strada per godere del fresco della sera, allegramente incamminandosi lungo il viottolo che conduceva al fiume. Fu allora che due bambini, fratellino e sorellina, notarono in un angolo, fra l’erba, uno strano scintillio. Incuriositi, tenendosi per mano, sotto l’occhio vigile dei loro genitori, si avvicinarono e scoprirono qualcosa d’incredibile: era un mucchietto di stelline cadute dalla volta celeste.
-Ma cosa ci facevano lì se il loro posto non era in terra ma in cielo? -si chiesero increduli fratellino e sorellina.
Era accaduto che il vento furioso, levatosi ad altezze vertiginose, spingendosi con le sue raffiche fin nelle più abissali profondità del firmamento, aveva strappato alcune stelle portandole via con sé e scaraventandole, poi, in terra. Le stelline ora piangevano spaventate, per la paura, per il freddo e perché erano lontane dalla loro casa, dalla loro mamma, la Luna, che, sgomenta, dall’alto le osservava, insieme alle altre stelle che, nel loro sconforto, non riuscivano a consolarla.
Il pianto sommesso e costante delle stelline profondamente commosse i due bambini che, consigliati dai genitori e dagli altri abitanti del paese- accorsi tutti, essendosi subito diffusa la notizia dello straordinario ritrovamento- per aiutarle decisero di rivolgersi alla Fata dei Prati.

Fata fatina, le lucenti stelle

incanto e sorriso delle notti belle,

cadute dal cielo sull’erba del prato

ora sono meste e addolorate.

 

Ti preghiamo, lesta più che puoi,

vieni subito qui da noi.

Fa’ che non muoiano le stelle brillanti

ma ancora splendano sfavillanti.

A quell’invocazione disperata la Fata dei Prati non restò insensibile, veloce accorse, il dolce volto incorniciato da lunghi capelli biondi, il capo inghirlandato di teneri fiori di campo, indosso una lunga veste verde ricamata di gigli dorati, in compagnia di api, libellule e farfalle festose che non mancavano mai di accompagnarla nei suoi spostamenti.
Appresa da fratellino e sorellina la storia delle stelline cadute dal cielo, la Fata ancor più s’intenerì e, dopo averle guardate tutte con i cerulei occhi amorevoli, così parlò:
-Mie care stelline purtroppo non è in mio potere riportarvi tanto in alto, ma ugualmente vi aiuterò convertendovi in una forma quasi simile a quella che avevate. Brillerete ancora, di notte, come fate da secoli, ma in altro modo. Vi trasformerò in alate creature, potrete vivere fra i campi, i prati e le boscaglie, arrampicarvi lungo gli steli dei fiori e svolazzare nell’aria, e vi concederò, allorché le luci del giorno si smorzeranno e incomberanno le prime ombre della sera, di accendervi come fari luminosi, lampeggiando luminescenti in modo continuo o intermittente, proprio come facevate in cielo. La luce di cui vi doterò, che emetterete a intervalli regolari e con una durata precisa, vi consentirà di riconoscervi, così saprete sempre dove siete e resterete in contatto fra voi. E quando, calate le tenebre, volerete tutte insieme, produrrete una luminosità così intensa che vi sembrerà quella di un bel chiaro di luna, e così vi sembrerà di essere non più sulla terra ma di nuovo nel cielo, stelle fra le stelle. E la vostra mamma, la Luna, potrà scorgervi dall’alto insieme alle altre vostre sorelle rimaste lassù. -
Allora, rassicurate dalle parole della Fata, le stelline smisero il pianto e fiduciose si affidarono al potere della sua bacchetta.
E così, dopo aver fatto girare in cerchio per tre volte la bacchetta nell’aria, con un semplice toc, accompagnato da una formula magica segretissima, la Fata dei Prati all’istante le trasformò in luminosi insetti alati che, come tanti puntini splendenti, subito incominciarono a danzare festosamente tra le erbe e le siepi, sulla radura e sui cespugli profumati della boscaglia.
Diventate creature bellissime, come lo erano state da stelline, da allora in poi, dopo il tramonto del sole, non mancarono mai di rendere speciali con i loro piccoli bagliori le notti d'estate e di parte dell’autunno, arrampicandosi lungo gli steli dei fiori addormentati, vorticando nei prati, nei giardini e nei parchi, in su e in giù, di qua e di là.
E fu proprio per la luminescenza che diffondevano nell’aria, punteggiando di minuscole fiammelle verdi boschi, prati e giardini, che la Fata dei Prati decise che il loro nome sarebbe stato, da “luce”, “lucciole”.

 

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