Francesca Santucci

DIECI MINUTI

(dall'antologia AA.VV., “ Agenda 365 Pagine da scrivere”,  Edizioni  Kimerik 2018)

  

A zia Assunta

 

Quando me ne sarò andato, dove mai potrò essere? Sarò qui, nel vento,
nell’oceano, e se mi avrai amato, se avrai avuto fiducia in me, 
mi sentirai in mille modi diversi: improvvisamente avvertirai la mia presenza. 
Non avrai più bisogno di cercarmi.

(Osho)

 

-Dieci minuti, solo dieci minuti chiederei di poter trascorrere ancora con loro, di nuovo tutti insieme riuniti allegri e festosi come intorno alla tavola natalizia. Solo dieci minuti, solo dieci minuti … per rivedere il bene che ho perduto…-
Come un’ossessiva cantilena queste tre parole ripeteva tra sé Candida, solo dieci minuti, tenendo i palmi delle mani aperti contro le gote rigate di lacrime, ripensando ai cari che aveva amato, da tempo inghiottiti dalle tenebre eterne.
Da lontano forte giungeva il gradasso rombo del tuono, annuncio di temporale. Tra poco la pioggia battente avrebbe inondato la verde collina, sferzato l’azzurro mare, scosso e percosso le indifese cime degli alberi e gli esili fiori tremanti come giovinette d’altri tempi al primo bacio, lavato strade, edifici, auto, e tutto quanto avrebbe incrociato sul suo cammino, proprio come le lacrime bagnavano il suo volto.
Con gli occhi appannati guardò verso il cielo, plumbeo con i suoi nuvoloni neri, i cui contorni bene non distingueva, perché erano intrisi di lacrime e perché l’età avanzata non le consentiva più l’esatta visione. Eppure, tra quelle forme confuse, ad un tratto le parve di scorgere qualcosa: lì, all’orizzonte, tra argentei bagliori, delle figure avanzavano tenendosi per mano, somigliavano a quei bambini di carta che, quando era piccola, per farla giocare la sua mamma le ritagliava dai vecchi quotidiani, intanto che la nonna la teneva sulle sue gambe e, nel loro dialetto, le cantava un’antica filastrocca dolcemente pizzicandole le dita delle mani:

Pizzi pizzi trangula,

la morte alisandrangula

e santrangula e pipì,

e la morte Sarracina.

Serracina faceva lu ppane

tutt' 'e mmosche s' 'o mmagnavano,

s'o mmagnavano a poca a vota…

 

Avanzavano sorridendo e tenendosi stretti. D’improvviso, a pochi passi da lei, si fermarono, la circondarono, due di loro la presero per mano e la trascinarono in un allegro girotondo.
Ora Candida non piangeva più e ben riconosceva i volti di quelle creature: c’erano la sua mamma e il suo papà, i suoi fratelli, sua sorella, i nonni, il suo sposo, tutti le sorridevano, e lei ricambiava quei sorrisi felice come una bambina, e il tempo non era mai trascorso, e nessun dolore aveva intaccato le loro vite, nessun pianto, nessun lutto. E a lungo girarono in tondo, saltellando su una dolce musica eseguita da angeliche mani invisibili, saltellandole anche il cuore in petto.  Poi la musica cessò di colpo.
Quasi in coro, dissero:
-Ora dobbiamo andare, dobbiamo salutarci.-
E Candida, rassettandosi la veste nera e ravviandosi i capelli scomposti durante la danza, li pregò:
---No, restate ancora, solo un momento. Voglio abbracciarvi tutti!-
Qualcuno aggiunse:
-Mi spiace, dobbiamo proprio andare, ma tu sai che non andiamo via del tutto, perché siamo sempre nei tuoi pensieri, nel tuo cuore. E quando proprio più forte ti prenderà la nostalgia di noi, solleva lo sguardo verso il Cielo, e pensa che quelle che vedi non sono stelle, ma varchi dietro i quali  ci siamo noi, a proteggerti e a far rifluire e risplendere il nostro amore per te. - E le porse un pallido iridescente  fiore di tuberosa.
La creatura gentile che aveva parlato un giorno era stato il suo sposo e le soavi tuberose- dai petali perlacei ma, quando ancora non si sono dischiuse, di colore rosa tenue, che sbocciano solo al tramonto emanando un profumo dolce intenso- erano i fiori che sempre lui le donava! Proprio come un profumo che, pur se persistente, dopo un po’ svanisce, lentamente quelle figure si dissolsero, sparirono.
Candida si riscosse di colpo, come dopo una di quelle brusche frenate, come spesso accadeva nelle auto a noleggio che ogni domenica la portavano al cimitero di Poggioreale per andare ad ossequiare i suoi affetti che non c’erano più.
Si ritrovò sola nella stanza, guardò l’orologio e si rese conto di aver dormito dieci minuti, e quello era il tempo che in muta preghiera prima aveva chiesto al Cielo di concederle per rivedere ancora una volta quei cari che tanto aveva amato, che tanto amava, perché l’amore non muore, è una forza invisibile che non conosce né tempo né spazio e, potente come un temporale, li oltrepassa.… ma era stato solo un sogno...anche se ancora nelle orecchie le rimbombava l’eco di quelle voci antiche …
D’improvviso un vago, delicato profumo investì le sue narici, ma in casa non aveva fiori, solo piante verdi, e le imposte erano chiuse, non poteva provenire da fuori. Annusò l’aria per seguirne la scia, poi, lentamente, come guidata da due braccia protettive, a passi cauti si diresse nella camera da letto, e fu allora che, adagiato sopra il copriletto delle suore che, un tempo lontano, con le loro mani avevano ingentilito il suo corredo, lo vide: era un bianco argenteo fiore di tuberosa, come quello offertole in sogno dal suo sposo … Ma era stato davvero solo un sogno?
Il temporale era passato. Aprì la finestra e guardò in alto. Alcune stelle già occhieggiavano nel cielo blu lavagna: sembrarono sorriderle!

 

 

 

 

 

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