Francesca Santucci

ERMENGARDA:

L’ULTIMA PRINCIPESSA LONGOBARDA

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estratto dalla pubblicazione

Francesca Santucci, "Ermengarda, l'ultima principessa longobarda", Associazione Culturale LucaniArt maggio 2014

 

Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.

(A. Manzoni, “Adelchi”, atto IV)

 

Giuseppe Bezzuoli, Svenimento di Ermengarda, 1837 Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe.

 

La figura di Ermengarda, la sposa ripudiata da Carlo Magno, sarebbe rimasta intrappolata per sempre nell’oblio, dimentica di lei la storia, condannata a una sorta di damnatio memoriae già dagli storici suoi contemporanei, concentrati i cronisti, evidentemente, sui grandi personaggi maschili protagonisti del dramma che avrebbe cambiato il volto dell'Italia, se Alessandro Manzoni, nella tragedia “Adelchi”, non le avesse conferito nuova dignità in virtù del suo dolore, facendola passare dalla stirpe degli oppressori alla schiera degli oppressi, tanto che, ancora oggi, la sventurata fanciulla sembra appartenere più alla poesia che alla storia. Fu Manzoni a riscoprirla, a “inventarle” un'anima, riproponendo la sua triste vicenda all'attenzione degli uomini, facendola, così,  nascere a nuova vita: la vita della poesia. Vittima innocente delle feroci passioni degli uomini, agnello sacrificato sull'altare della necessità politica, grazie al poeta il suo nome divenne quasi il simbolo di un destino infelice e la sua patetica immagine entrò nella fantasia popolare, suscitando sempre un senso di triste compianto.


Te, dalla rea progenie
degli oppressor discesa,
cui fu prodezza il numero,
cui fu ragion l’offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà,
te collocò la provvida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida;
scendi a dormir con essi:
alle incolpate ceneri
nessuno insulterà.

(A. Manzoni, “Adelchi”, atto IV)

 

Ma chi era veramente Ermengarda? Perché sposò Carlo Magno? E perché dopo appena un anno di matrimonio fu ripudiata? E come e dove si concluse l’esistenza di questa leggendaria e sfortunata creatura?

Ermengarda era figlia di Desiderio, re dei Longobardi (tribù germanica insediatasi con la violenza in Italia, che, pur nei secoli integrata nel tessuto sociale italiano, grazie all'emanazione di leggi scritte in latino, alla conversione alla religione cattolica e allo sviluppo anche artistico, aveva conservato l’indole bellicosa) e della regina Ansa, donna bella, colta e intelligente, di grande intuito politico (ipotizzò la costituzione di un unico regno d`Italia in collegamento con tutta l`Europa), alla quale il grande storico dell’età longobarda, Paolo Diacono, che l’appellò pulcherrima e fulgens regina, dedicò un epitaffio, i cui versi finali così recitano: ogni piena d`amore, /ogni lume d`intelletto, /ogni splendore di opere/tutti risiedevano insieme a te, /splendida Regina.

Il re Desiderio ambiva estendere il proprio dominio su tutta l'Italia, ma il suo disegno era contrastato soprattutto dal papa, che aveva sostituito a Roma l'autorità del lontano imperatore d'Oriente, incapace ormai di far valere concretamente i suoi diritti. Inevitabile il conflitto fra i due, ma il papa da solo non sarebbe stato in grado di resistere agli assalti del sovrano longobardo se, a prestargli aiuto, non ci fossero stati i Franchi, che avevano costituito in Francia un regno forte. Del resto al re dei Franchi, Pipino, sovente si erano rivolti i papi per respingere gli attacchi dei Longobardi e conservare la propria libertà.  Quando, nel 768, Pipino morì, lasciando il proprio regno ai figli Carlo e Carlomanno, che se lo divisero a metà, Desiderio pensò che fosse giunto il momento di tentare la conquista definitiva delle terre contese e, magari, di spingersi fino a Roma, togliendo al papa ogni possibilità di resistenza. Ma la regina di Francia, Bertrada, vedova di Pipino, che disapprovava lo stato di perpetua guerra esistente tra i Franchi e i Longobardi, convinta che i due popoli potessero ben convivere, rinunciando l'uno ad attaccare il papa e l'altro a difenderlo, venne in Italia, s'incontrò con Desiderio e gli propose un duplice matrimonio di pace: come pegno dell'amicizia, che d'ora in avanti ci sarebbe stata tra Franchi e Longobardi, offrì la propria figlia Gisla in moglie ad Adelchi, il primogenito di Desiderio, e chiese per suo figlio Carlo la mano di Ermengarda.
Scarse sono le notizie pervenuteci sulla principessa longobarda, avvolta in uno strano silenzio, incerti l’anno di nascita e di morte, persino il nome; Manzoni la chiamò Ermengarda (il nome Ermengarda, usato soprattutto in Germania, deriva dall’antico provenzale Ermenjardis, tratto dal tedesco arcaico Irmengard e significa protetta da Irmin, ossia il dio Odino, ma in vecchio teutonico Ermengard vuol dire anche desiderio de’ guerrieri, da “heermann”, guerriero, e “garde”, brama ardente), ma forse si chiamava
Irmogarda, come detto dall'umanista tedesco Aventinus, o Imoarda, o Irmengard
, o Gerberga o Berterad o Teodora o Sibilia. Gli antichi scrittori per lo più la lasciano innominata, dicendola solo: filia Desiderii. Andrea da Bergamo, che scrisse alla fine del IX secolo, la chiamò Berterada. Pascasio Radberto, scrittore del secolo IX, fu il primo a chiamarla Desiderata, nome chiaramente derivato da quello del padre.
Incerto l'anno di nascita, forse il 754, s’ignora che età avesse di preciso quando abbandonò Pavia, la capitale del regno longobardo, per seguire in Francia la madre dell'uomo che le era stato destinato come sposo, ma è facile immaginare che fosse molto giovane e che l'idea delle prossime nozze col potente re dei Franchi le accendesse la fantasia. Timida, remissiva, esattamente l'opposto dell’intrigante padre e del prepotente fratello, forse illusa di rappresentare davvero un dolce simbolo di pace in quel mondo per tanta parte ancora barbaro e feroce, durante il lungo e disagevole viaggio con le sue maniere gentili conquistò per sempre la futura suocera, che le fece da madre e le fu poi sempre amica.
Certo, dunque, il suo matrimonio, non per amore, ma dovuto a ragioni politiche e diplomatiche, celebrato ad Aquisgrana in un giorno imprecisato del 770, con Carlo Magno (che era già stato sposato con Imitrude) che, noncurante della scomunica minacciata dal Papa, fortemente ostile a un'alleanza matrimoniale tra la corte dei Franchi e quella dei Longobardi, sposò la giovane e, in tale occasione, pacem firmissimam ex utraque parte firmaverat,1 e certo anche il ripudio, l’anno seguente, nella primavera del 771. Secondo il monaco di San Gallo, vissuto un secolo dopo (840-912), Carlo Magno, dopo averla tenuta per un anno come regina, trovandola clinica ed inabile a menar prole 2 (motivo ammesso per un ripudio, poiché, secondo la morale del tempo, dovere precipuo della donna, tanto più di una sovrana, era quello di assicurare dei figli), per giudizio di santissimi sacerdoti la lasciò come morta 3 e contrasse una nuova unione con la sveva Ildegarde. Ma, poco prima del monaco di San Gallo, Andrea da Bergamo (in verità non molto attendibile come fonte) nella sua “Cronaca” aveva attribuito il ripudio a certi sdegni di Carlomanno, fratello di Carlo Magno, contro la novella sposa di Carlo, il quale, per placare il fratello, aveva giurato di rimandarla a Pavia, suscitando l’ira della loro madre (che aspramente rimproverò la condotta del figlio e arrivò al punto di maledire Carlomanno), ed anche la disapprovazione del cugino di Carlo  Magno, Adelardo, il quale, turbato dal comportamento del re, che aveva scacciato la moglie innocente e contratto un matrimonio illecito, per attestare al mondo la sua estraneità in tali faccende si fece monaco. Certamente al ripudio non fu estraneo papa Stefano III che, temendo che l'amicizia tra Franchi e Longobardi avrebbe potuto avere conseguenze disastrose per il papato, già aveva tentato di tutto per mandare a monte le doppie nozze proposte da Bertrada (Gisla e Adelchi ed Ermengarda e Carlo Magno), con proposte e controproposte, scambi di missive, persino scrivendo ai due re franchi una lettera ingiuriosa verso i Longobardi definendo scioccheria4 l’idea di unirsi con la perfida e fetentissima gente dei Longobardi 5 dai quali aveva avuto origine la schifosa malattia della lebbra, 7 minacciando la scomunica e l’eterna dannazione verso di loro, finché Bertrada era stata costretta a rinunciare in parte alla sua “missione di pace” e a tornarsene in Francia portandosi dietro soltanto Ermengarda, solennemente concessale da Desiderio. Ma l’incolpevole fanciulla che, andando sposa in Francia, avrebbe dovuto sancire l’amicizia e la pace fra i due popoli nemici, dopo un anno fu rimandata in Italia con l’umiliazione di un ripudio, causa scatenante dell’ira di re Desiderio
Confuse e varie sono le ipotesi sulla sua fine, certo è che non sopravvisse molto al crollo del suo bel sogno nuziale; secondo alcuni Ermengarda morì in Francia, o perché realmente ammalata o nel dare alla luce quel figlio che avrebbe smentito la sua presunta sterilità o perché il suo cuore non resse al dolore di vedersi ripudiata dall'uomo che, nel frattempo, aveva imparato ad amare. Ma la versione più attendibile sembra essere quella del ritorno in Italia e del ritiro nel monastero di San Salvatore a Brescia, di cui era badessa la sorella Anselperga. Fu qui che, probabilmente, nel 774, cessò di vivere, travolti insieme a lei, dopo due secoli di dominio in Italia, la dinastia e il regno longobardo, ad opera di Carlo Magno che, chiamato in Italia dal nuovo Papa Adriano, trionfò definitivamente sui Longobardi, si proclamò
rex Francorum et Langobardorum, e fece imprigionare il re Desiderio e la regina Ansa nel monastero di Corbie in Francia.
Quale che sia la verità su questa fanciulla mite e fragile, creatura di pace in un mondo di guerra, simbolo del suo popolo che, da vincitore, divenne vinto, da oppressore oppresso, la sua sola comparsa sulla scena del mondo ingentilisce un'epoca tra le più tormentate nella storia d'Europa.

 

NOTE

1) Angelo Fumagalli; Michele della Torre, Delle antichità longobardico-milanesi illustrate con dissertazioni dai monaci della Congregazione cisterciese di Lombardia.

2) La Civiltà cattolica, Volume 5, Parte 1.

3) op.cit.

4) La Civiltà cattolica, Volume 5, Parte 1 (53).

5) op.cit.

  

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Rizzoli, Milano 1967.

Jörg Jarnut, Storia dei Longobardi, Einaudi, Torino 2002.

Rovagnati Sergio, I Longobardi, Xenia, Milano 2003.

Alessandro Manzoni, Adelchi, curatore di Alberto Giordano, Rizzoli, Milano 1976.

Rachele Farina, Dizionario biografico delle donne lombarde 568-1968, Baldini & Castoldi, Milano

1995.

 

    

 

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