Francesca
Santucci
IL
MAGO PATATRAC
Non smettere di imparare: sia tua cura accrescere ciò che sai.
Catone
Era davvero un gran pasticcione il Mago Otello, proprio non ne combinava
una giusta, per questo era stato soprannominato “Patatrac”, sbagliando
sempre le formule magiche che, maldestramente, applicava, sicché, da
quando era arrivato al castello, c’era sempre una gran confusione. Il Re in
persona l’aveva voluto a corte, perché con le sue arti magiche potesse
prevedere il futuro e tenere lontano incantesimi, malocchi e malefici che
avrebbero potuto turbare la pace del suo regno, ma il Mago non ne capiva
proprio niente di formule e amuleti, e a casaccio interpretava ciò che
vedeva nella sfera di cristallo, e a vanvera agitava la sua bacchetta
magica.
E così, confondendo gli incantesimi, sbaraquac e sciò sciò sciò,
bim bum bam
e ciucciuè,
trasformava non i ranocchi in principi, ma i principi in ranocchi, non le
zucche in carrozze, ma le carrozze in zucche, e poi i bambini in birilli,
le bambine in palline, e un giorno che il sovrano gli aveva ordinato di
convertire per i suoi commensali l’acqua malsana del pozzo in acqua fresca
di sorgente, per errore la trasformò in vino, che fece ubriacare tutti gli
ospiti illustri, re e regine venute dai paesi più lontani per onorare con
la loro presenza la tavola del sovrano. A lungo le sale del Palazzo Reale
risuonarono degli hic, hic e delle risate e dei canti
sconclusionati di tutti, tutti ebbri, compreso il Re e la Regina. Ma il colmo ci
fu il giorno in cui il Re ordinò al Mago Patatrac di chiedere alla Regina
di recarsi da lui con una preziosa bottiglia contenente un elisir
donatogli dai frati del vicino convento: successe
un gran trambusto!
Il Mago sbagliò, capì
che doveva portare la Regina e la bottiglia insieme, allora, volendo
ubbidire velocemente al sovrano, per fare prima, con un colpo di
bacchetta, rinchiuse la sventurata nella bottiglia e la consegnò al Re. Sotto gli occhi allibiti di tutta la corte la poverina smaniava e si
contorceva come un’anguilla, perché ci stava stretta nella bottiglia, e
sbraitava e urlava che la liberassero, ma a nulla valsero i pronti rituali
del Mago Patatrac, che proprio non riuscì a imbroccare la formula giusta,
tanto che fu necessario chiamare il Mago dei Maghi, che viveva in Francia,
perché liberasse la Regina e traesse dagli impicci il mago pasticcione. - “Bisogna mandarlo alla scuola dei Maghi, absolument, parce que
…excuse-moi, ora je parle l’italien, perché apprenda
seriamente l’arte della magia.
Commette tutti questi sbagli perché da piccolo non è andato a scuola, ha
imparato da solo, poco e male, ma per avere sapienza bisogna studiare, e
con un bravo maestro”. – Così sentenziò il Mago, accomodandosi gli occhiali sul naso dopo aver
liberato la Regina applicando un cerimoniale di alta magia, e il Re fu
subito d’accordo. Allora il Mago Patatrac fu mandato alla scuola dei Maghi in Francia, e
apprese così bene il suo mestiere, applicandosi con impegno e divenendo
tanto bravo nelle arti magiche, e anche nelle lingue, soprattutto in
quella francese, che addirittura il suo nome venne mutato da Patatrac a
Etvoilà, dall’espressione francese et voilà che significa “ecco”. Infine il Mago Etvoilà ritornò a corte, dimostrando da subito tutta la sua
abilità, tenendo lontano, con le preziose arti apprese, mai mancando di
consultare il librone degli incantesimi, ogni maleficio che potesse
turbare la pace e la serenità del regno, del sovrano e di tutti i suoi
cari.
Ma un giorno che la sua figlioletta era malinconica il Re chiese al Mago
Etvoilà di fare una piccola magia che la distraesse dalla sua tristezza.
Allora il Mago si lisciò il pizzetto, roteò gli occhi a destra e a
sinistra, restò pensieroso per qualche istante e poi, con aria solenne,
con la sua bacchetta magica, prima tracciò dei segni immaginari nell’aria,
poi toccò un ramo di orchidee e, pronunciando tre volte di seguito la
misteriosa formula magica Phalenopsis olim erànt, Pulchèr flòs kalòs,
Papilio papilionis, Surgite e ite ite!, trasformò i fiorellini in
tante piccole farfalle colorate che, leggiadre, si misero a volare intorno
alla principessina, suscitando la sua gioia, il suo sorriso e i suoi
battimani.
Strappata alla sua tristezza, da quel momento la figlia del Re non fu mai
più malinconica, ebbe sempre e solo pensieri lievi come le alate creature,
e non ci fu giorno che le sale del castello, con grande gioia di tutti,
non risuonassero delle sue risa argentine.
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