L'inferno di
        
        Elfriede Lohse-Wächtler
        
        
        (dall'antologia AA. VV., "Il male al cinema- Moovies Shadows and Lights", edizioni Lulu, Mostra 
        d'Arte Cinematografica di Venezia 2015)
        
        
        
        
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        Malgrado tutto quello attraverso cui sono passata sono abbastanza 
        stupida 
        
        
        
         da credere che la gente buona esista ancora.
        
        Elfriede Lohse- Wächtler
        
         
                  
                   
                            
                   
        
        
        Elfriede Lohse-Wächtler, Lissy (1931)
         
        
        
        Travagliata fu l'esistenza della pittrice di avanguardia Elfriede 
        Lohse-Wächtler, la cui vicenda personale, con la diagnosi di 
        “schizofrenia”, il ricovero, l'interdizione, la sterilizzazione forzata, 
        la morte, s’intersecò con la grande tragedia collettiva degli anni del 
        nazismo, passato di orrore e sacrificio che nessuna coscienza umana 
        dovrà mai dimenticare, evento drammatico in cui il Male prevalse in una 
        forma crudele e insensata: un’aberrante ideologia politica che spinse 
        uomini a costringere altri fratelli a perdere i lineamenti stessi 
        dell’umanità abbrutiti dall’odio e dalla persecuzione.
Elfriede nacque il 4 dicembre 1899 a Loebtau come Anna Frieda Wächtler 
        (fu lei, poi, a ribattezzarsi “Elfriede”), in una famiglia borghese. Suo 
        padre, Gustav Adolf, coltivava grandi speranze per la figlia, perciò 
        disapprovò la sua scelta “eccentrica” d’intraprendere la carriera 
        artistica. 
     Nonostante la sua opposizione, volitiva, intraprendente, desiderosa sin 
        da bambina di esprimersi creativamente, per studiare disegno nel 1915 
        Elfriede s’iscrisse all'Accademia d’Arte di Dresda (città, che insieme a 
        Monaco di Baviera e Hannover era, allora, in Germania fervido centro che 
        consentiva scambi e sviluppi creativi fra “Espressionismo” e “Dadaismo” 
        apportando notevoli contributi tedeschi alla rivoluzione artistica del 
        Novecento), ma poi cambiò corso di studi per impegnarsi nella grafica 
        applicata, in particolare nel batik 
        
        (termine derivante dalle parole indonesiane amba, 
        “scrivere”, e titik, 
        “punto, goccia”, col significato di ciò 
        che si disegna), 
        la 
        
        tecnica usata per colorare i tessuti
        coprendo le zone che non si vogliono tinte.
     In spirito d’indipendenza lasciò la casa paterna, tagliò corti i 
        capelli, indossò abiti maschili, iniziò a fumare la pipa in pubblico e 
        cominciò a tingere tessuti e a realizzare cartoline d’auguri litografate 
        per guadagnarsi da vivere e finanziarsi gli studi, che continuò sotto la 
        guida del professore d’arte, pittore, grafico e incisore, Oskar Georg 
        Erler.
        Adottato lo pseudonimo maschile di Nikolaus Wächtler, Elfriede 
        frequentò le avanguardie artistiche del tempo, ebbe come amici il 
        pittore e incisore espressionista Conrad Felixmüller, membro del partito 
        comunista tedesco, e Otto Dix, 
        
        pure pittore e incisore, noto per le sue raffigurazioni spietate e 
        duramente realistiche della Repubblica di Weimar1
        e della brutalità della guerra. Inoltre 
        
        aderì al “Dadaismo”, movimento nato 
        
        a Zurigo, nella Svizzera neutrale 
        della Prima guerra mondiale, e sviluppatosi tra il 1916 e 
        il 1920, che interessò 
        soprattutto l’arte, la letteratura e il teatro, i cui gli artisti 
        manifestavano la loro politica anti bellica con il rifiuto degli 
        standard artistici, attraverso opere che erano contro le convenzioni 
        dell'epoca, contro le ideologie politiche, contro la ragione e la 
        logica, contro l'arte stessa, proponendosi volutamente irrispettosi e 
        stravaganti, ricercando la totale libertà creativa, per la quale 
        utilizzavano tutti i materiali e le forme disponibili. 
        Fu in quegli anni che Elfriede maturò anche una coscienza politica e 
        sociale.
      Sorprendendo tutti, nel 1921 sposò Kurt Lohse, un allievo d’arte 
        squattrinato, pittore e cantante lirico, che conduceva una vita 
        sregolata e che, mentre era sposato con lei, ebbe tre figli da un’altra 
        donna, motivi, questi, che la spinsero negli anni successivi a ripetute 
        separazioni.
        Nel 1926 aderì all'Unione di Donne Artiste e Amici dell'Arte di Amburgo, 
        e nel 1928 partecipò a numerose mostre del movimento artistico 
        d’avanguardia 
        
        Neue Sachlichkeit 
        
        (“Nuova Oggettività”) 
        nato in Germania dopo la prima guerra mondiale, 
        
        
        riguardante soprattutto la pittura, che proponeva un rinnovato interesse 
        per la realtà, caratterizzato da un immaginario poco accomodante e 
        spesso grottesco, distorto, sconfinante nell’astratto pur mantenendosi 
        nel figurativismo, derivante dal dolore fisico o mentale di artisti che 
        avevano vissuto gli orrori della guerra, trascorrendo lunghi periodi in 
        ospedale e portando con sé nel dopoguerra le cicatrici dell’esperienza 
        vissuta. Di fronte al materialismo disinvolto della Repubblica di Weimar 
        e alla crescente minaccia del nazismo gli esponenti della “Nuova 
        oggettività” nelle loro tele mettevano in 
        ridicolo la corruzione della società contemporanea e lo spettro del 
        militarismo che aleggiava minaccioso sulla Germania degli anni ’20, 
        elaborando ritratti caratterizzati da volti con lineamenti 
        innaturalmente deformati e corpi contorti. Condannato dal nazismo come 
        arte degenerata, nel 1933 gli esponenti del movimento furono costretti a 
        rifugiarsi all’estero.  Anni dopo una versione meno esasperata di questo 
        stile avrebbe, poi, svolto un ruolo importante nella nascita dell’ 
        “Espressionismo astratto”, che si esaurì con la fine della Repubblica 
        di Weimar e con la presa del 
        potere da parte dei nazisti, 
        che consideravano questa corrente entartete Kunst,
        “arte degenerata”, 
        espressione che, nella Germania del regime 
        nazista, indicava quelle 
        forme d'arte che riflettevano 
        valori o estetiche contrari 
        alle concezioni naziste, e non esaltavano o, addirittura, si opponevano, 
        ai valori ritenuti tipici della razza 
        ariana e delle sue tradizioni 
        culturali.
     Allontanatasi da Kurt nel 1926, nonostante i successi iniziali Elfriede 
        cominciò a trovarsi in difficoltà economiche, tanto che poteva contare 
        sul sostegno sociale.  
      Lontana dagli amici che aveva in comune con Kurt, oppressa dalle 
        preoccupazioni economiche, la sua salute mentale cominciò a vacillare e 
        si palesarono i primi segni dei deliri paranoici che aumentarono finché, 
        nel 1929 ebbe un crollo psichico mentre si trovava ad Amburgo, dove 
        viveva, e fu ricoverata nell’ospedale psichiatrico di 
        Klein-Friedrichsberg.
Durante il ricovero, durato due mesi, dopo un iniziale periodo di apatia 
        Elfriede sviluppò un forte impulso creativo e riprese a disegnare e a 
        dipingere, creando 
        
        una serie di sessanta disegni, 
        
        schizzi a matita 
        e pastelli, 
        
        in cui rappresentava se stessa, la vita quotidiana nell’ospedale, il 
        giardino dell’ospedale, un paesaggio invernale, 
        
        
        i pazienti, soprattutto 
        
        sorprendenti ritratti di donne ricoverate, le “Teste di Friedrichsberg”, 
        entusiasmando i critici che, per la rappresentazione cruda, grottesca, 
        "brutta" (com'era tipico degli espressionisti tedeschi che deformavano 
        l'oggetto rappresentato) di personaggi colti in miseria e solitudine 
        morale, la paragonarono a Grosz, Kokoschka e Schiele.
       Dopo il suo recupero, e la separazione definitiva da Kurt Lohse, 
        l'artista visse un periodo molto creativo, il 
        più felice della sua carriera artistica,
        
        
        esponendo nel maggio del 1929 i suoi ritratti al “Kunstsalon Marie Kunde”, 
        a questa mostra seguirono altre esposizioni, e la realizzazione di 
        numerose opere, di fantasia, 
        
        dipinti del porto di Amburgo e degli 
        
        ambienti più squallidi della città, ritratti di 
        lavoratori e di prostitute 
        
        dei quartieri a luci rosse di Amburgo, 
        
        ed anche molti autoritratti. È 
        
        del 1931 il suo lavoro più noto, Lissy, il ritratto a tre quarti 
        di lunghezza di una prostituta bionda, pesantemente truccata, 
        caricaturale e quasi grottesca, che, una mano appoggiata su un fianco, 
        l’altra che stringe una sigaretta, guarda fisso lo spettatore. Secondo 
        alcuni critici quest’opera sarebbe un autoritratto che indicherebbe 
        l'identificazione dell'artista con le figure emarginate della malavita 
        di Amburgo.
  Nonostante la partecipazione ad alcune mostre, il ricavato dalle vendite 
        delle sue opere e piccoli sussidi, 
        
        il successo fu di breve durata ed 
        
        Elfriede continuò a versare in condizioni di estrema povertà. A metà del 
        1931, a causa dei problemi economici e del crescente isolamento in cui 
        viveva, negli 
        anni in cui la Germania precipitava verso il nazismo, povera, senza 
        amici, fece ritorno a casa e affondò sempre più nel suo male.
      Nel 1932, 
        
        su richiesta del padre, sgomento per le condizioni di quella figlia che 
        sentiva così estranea, con la quale sempre difficili erano stati i 
        rapporti, e convinto di affidarla a un luogo di giuste cure, Elfriede fu 
        ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Arnsdorf, presso Dresda: qui le 
        fu diagnosticata la “schizofrenia”.
     Ancora ottimista verso il suo futuro, Elfriede continuò a dipingere e a 
        scrivere ai suoi chiedendo di poter lasciare l’ospedale, ma il suo 
        destino era segnato, intrecciato al nazismo che, ormai, aveva mostrato 
        il suo vero volto, rivelando inequivocabilmente agli occhi del mondo la 
        sua natura violenta e aggressiva, assumendo Hitler tutte le cariche del 
        potere e trasformando la Germania, nell’arco di pochi mesi, in uno Stato 
        totalitario, abolendo il regime parlamentare, disciogliendo i sindacati 
        e le organizzazioni autonome dei lavoratori, dichiarando illegale e 
        perseguitando a morte l’opposizione, privando le donne del diritto di 
        voto, sopprimendo tutti i partiti, mettendo sotto ferreo controllo la 
        radio e il sistema scolastico, promulgando le prime leggi antisemite.
        
    L’antisemitismo era uno dei principi cardine su cui si basava 
        l’ideologia hitleriana, secondo la quale, come espresso nel Mein 
        Kampf (“La mia battaglia”) da Adolf Hitler, bisognava salvaguardare 
        la purezza della razza ariana- assolutamente superiore, destinata da Dio 
        a dominare il mondo per il bene di tutti i popoli- eliminando qualunque 
        elemento “impuro”, soprattutto la razza semita, giudicata di natura 
        inferiore e accusata di voler trascinare il mondo intero verso la più 
        spaventosa corruzione. Si sviluppò, allora, con tutta la sua atroce 
        progressiva drammaticità attraverso una serie di leggi che tolsero agli 
        ebrei tedeschi i diritti civili e che condussero alla deportazione in 
        Germania di migliaia di uomini e donne (che venivano impegnati nei campi 
        di lavoro in sostituzione degli operai tedeschi in guerra), 
        all’eliminazione degli ebrei e degli oppositori al nazismo, alla 
        creazione di Lager in Polonia, in Germania e in altri Paesi, 
        campi di concentramento, poi diventati campi di sterminio, come 
        Auschwitz, Dachau, Mauthausen, 
        Ravensbrück,2 
        quest’ultimo esclusivamente femminile, voluto da Hitler per eliminare le 
        donne “non 
        conformi”, prigioniere politiche, prostitute, lesbiche, zingare, 
        disabili, che qui subivano le violenze più atroci che si possano 
        infliggere ad una donna: sterilizzazioni, aborti forzati e stupri.
       
    In questi 
        
        Lager 
        
        la ferocia nazista condusse esseri umani incolpevoli all’abiezione, 
        all’avvilimento, alla prostrazione, nella carne e nello spirito, e 
        soppresse circa 14 milioni di uomini di cui 6 milioni di ebrei, 
        scrivendo la pagina più vergognosa della storia dell’umanità. 
        
        
        
        “La mia scienza pedagogica è dura. Il debole deve essere spazzato via. 
        Nei centri del mio nuovo Ordine verrà allevata una gioventù che 
        spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta, 
        dominatrice, ardita, terribile. Gioventù deve essere tutto questo. Essa 
        deve sopportare il dolore, non deve avere nulla di debole o di 
        effeminato. L’animale rapace, libero e dominatore, deve brillare anche 
        dai suoi occhi. Forte e bella voglio la mia gioventù. La farò istruire 
        in ogni esercizio fisico. Voglio una gioventù atletica. Questa è la 
        prima cosa e la più importante. Così distruggerò i millenni di 
        addomesticamento dell’umanità ed avrò di fronte a me il materiale 
        nobile, puro della natura e potrò creare cose nuove. Non voglio 
        un’educazione intellettuale. Il sapere mi rovina la gioventù. Al più le 
        lascio imparare quello per cui si sente portata seguendo il gioco dei 
        suoi istinti. ”3
        
        
        Fra le politiche sociali razziste attuate dalla Germania
        
        
        di Hitler, ossessionato dai canoni di purezza e bellezza derivategli dal 
        suo “sentirsi” artista, profondamente avverso all’handicap fisico e 
        mentale, e convinto che lo stato di debolezza della nazione dipendesse 
        all'esistenza di "elementi degenerati" che avevano compromesso la 
        purezza della popolazione e che, pertanto, dovevano essere eliminati il 
        prima possibile, incoraggiando, invece, la riproduzione dei forti e dei 
        razzialmente puri, 
        trovò spazio anche 
        un’altra malvagità, l’eugenetica nazista, 
        finalizzata al miglioramento della razza mediante la soppressione 
        delle persone considerate "vite di nessun valore" (Lebenunwertes 
        Leben in tedesco), dissidenti, omosessuali, deviati, ritardati, 
        malati di mente, ebrei, zingari, ecc., prima con la sterilizzazione 
        coatta, per impedire di riprodursi, in modo da non diffondere i propri 
        geni all'interno della popolazione, e poi con la morte.
      
        Nel 1939 fu, così, avviato 
        da Hitler e dai suoi fedelissimi, il programma
        
        
        “Aktion 
        T4”, 
        chiamato più semplicemente il "T4", che 
        mirava all'eliminazione dei bambini affetti da handicap fisici e 
        mentali, e 
        
        all'eutanasia di massa degli adulti disabili, e che s’interruppe, 
        
        ma solo formalmente, su pressione dell’opinione pubblica e della Chiesa, 
        nell’agosto del 1941. 
        Si calcola che, tra il 1939 e il 1945, furono sterminate dai nazisti 
        250.000 persone disabili, malati di mente, disabili fisici e quelli 
        ritenuti “ indegni della vita”.
In questo contesto Elfriede si avviò al drammatico epilogo della sua 
        esistenza. 
     Nel 1935, come consentito dalla legge per la prevenzione della prole 
        geneticamente difettosa contro chi era affetto da “tare ereditarie”, 
        dopo un suo primo rifiuto, 
        
        fu sottoposta a sterilizzazione forzata nella clinica di Dresda, 
        il cui vicedirettore era un fervente nazista, poi le 
        
        
        fu negata la libertà di lasciare la casa di cura. 
        Nel 1937 fu etichettata come autrice di arte degenerata e gran parte dei 
        suoi lavori furono confiscati o distrutti. 
      Oppressa dall’umiliazione subita della sterilizzazione Elfriede smise di 
        dipingere, eppure, anche se priva di cure adeguate, malnutrita e 
        sofferente, ancora sperava in un cambiamento positivo per la sua vita, 
        ma, giudicata “indegna di vita”, 
        
        venne deportata nell’ospedale regionale di Pirna-Sonnenstein (in realtà 
        un centro di sterminio 
        
        dove furono uccise circa 15000 persone) 
        e assassinata nel quadro del programma di eutanasia nazista 
        “Aktion 
        T4” 
        il 31 luglio del 1940, gasata insieme ad altre venti donne, anche se la 
        causa ufficiale della morte fu quella di "polmonite con scompenso 
        cardiaco nonostante tutti gli sforzi fatti dai medici per mantenere il 
        paziente in vita”. 
        Nell’ultimo suo quadro,
        Leben (Vita), del 1936, aveva raffigurato una donna come 
        crocefissa, con la testa pendente all'indietro, un poppante con ali 
        d'angelo che vomita.
     Un giorno Elfriede aveva scritto: 
        
        
        
        Malgrado tutto quello attraverso cui sono passata sono abbastanza 
        stupida da credere che la gente buona esista ancora.
        
        
        In vita nelle mostre i suoi quadri, fra “Espressionismo” e “Nuova 
        oggettività”, furono esposti accanto a quelli di Paul Klee, Oskar 
        Kokoschka ed Emile Nolde, dopo la morte, formalmente cancellata, 
        svanirono nell'oblio. A 
        lungo dimenticata, le sue opere superstiti, magnifiche, straordinarie se 
        si pensa in quale inferno furono create (in condizioni di semipovertà, 
        crisi nervose e isolamento emotivo), principalmente conservate in 
        collezioni private e musei in Germania, paesaggi, scene portuali, fiori, 
        animali, ritratti (di donne, uomini, vecchi, coppie, in solitudine, in 
        bar o in interni di squallidi ritrovi), due raffigurazioni della mitica 
        danzatrice Salomè, autoritratti (con cappello, con sigaretta), dipinti, 
        disegni, pastelli, oli, acquarelli, litografie, in cui sfila un’umanità 
        dolente, personaggi ai margini della società presentati nella loro 
        verità, nella crudezza delle loro condizioni, senza mai essere 
        moralmente giudicati, sono state riscoperte dai critici e divulgate a 
        partire dal 
        1989 con una serie di iniziative, eventi e mostre. Da allora sono state 
        esposte a 
        Aschaffenburg, insieme ai lavori di altre artiste tedesche, ad 
        
        
        Amburgo, a Dresda, a Pirna (nel museo della città, nel 
        
        2003, si è tenuta la mostra "Elfriede Lohse-Wächtler ... Io solo so chi 
        sono"), al Museo Zeppelin di Friedrichshafen (nel 2008, "Elfriede 
        Lohse-Wächtler - Una vita tra arte e disperazione"), 
        
        
        ed è stata anche istituita una fondazione che porta il suo nome, 
        Förderkreis Elfriede Lohse- Wächtler, riguadagnando, così, Elfriede, 
        riconoscimento e fama.
   Inoltre, in ricordo di questa geniale artista e sensibile donna dal 
        destino sventurato e tragico, desiderosa di libertà e indipendenza, 
        definita eccentrica perché fumava e portava i capelli corti (ma a quel 
        tempo conquistare spazi per una donna passava anche attraverso 
        l’adozione di atteggiamenti e comportamenti “maschili”), catalogata come 
        “artista degenerata” solo perché creativa diversamente dai canoni 
        artistici allora imposti, etichettata come “schizofrenica” per un crollo 
        nervoso, in più con amici comunisti (considerati nemici acerrimi dallo 
        Stato come chiunque avversasse il nazismo), 
        
        
        nel 1999 è stata posta una lapide presso l'ospedale di Arnsdorf e nel 
        2004 è stato dato il suo nome ad un roseto nell’area dell’ex ospedale 
        Friedrich Ber. E vi sono anche delle strade a lei intitolate, a 
        Pirna-Sonnenstein, ad Arnsdorf, nell'area dell'ex dell'ospedale 
        Friedrichsberg, e nel 2012, nel giardino delle donne, nel cimitero 
        Ohlsdorfer di Amburgo, è stata apposta una lapide che la ricorda quale 
        vittima della persecuzione nazista.
        
        
        NOTE
        
        
        
        
1)Dal nome dalla città di Weimar, 
        dove si tenne un'assemblea nazionale per redigere una nuova costituzione dopo 
        la sconfitta tedesca nella prima 
        guerra mondiale, la 
        Repubblica di Weimar (Weimarer 
        Republik, in tedesco) è il regime politico della storia 
        della Germania che va dal 1919 al 1933.
        
        
        
        
        
        2) Come 
        scrive la giornalista e scrittrice Sarah Helm, nel libro dal titolo 
        evocativo dell’opera di Primo Levi, Ravensbrück: If this is a woman, 
        “Se questa è una donna”, a Ravensbrück, campo di sterminio ignorato 
        dalla storia per un lunghissimo periodo, vennero uccise, asfissiate, 
         seimila donne.