Francesca Santucci

LA FARFALLA E LA VIOLA

(Francesca Santucci, Storie colorate, Apollo edizioni 2018)

 

 

 

 

La farfalla è un fiore in volo,
il fiore una farfalla ancorata a terra.

Ponce Denis Écouchard Lebrun

 

 

C’era una volta una Vanessa Atalanta, una di quelle farfalle che, viste nell’aria, sembrano fiamme viventi tanto splendono le strisce e le macchie di fuoco che portano sulle loro ali, nere e bianche di sopra, variopinte nel lato inferiore.
Un giorno, sul finire della primavera, mentre tornava a casa, nella valle delle farfalle dove abitava insieme alle sue colorate sorelle, un’improvvisa raffica di vento la spinse lontano, facendola atterrare malamente su un pendio erboso in un boschetto. Qui, timida e riservata, viveva un tenero fiore: era una Viola dalle larghe foglie lobate di un bel verde, prolungate a forma di sperone, i grandi petali vellutati bianchi striati di violetto, un cuore color oro ricco del prezioso nettare tanto ricercato dagli insetti come nutrimento.
La Viola, accortasi che la farfalla, che non aveva mai visto prima nella zona, era in difficoltà, sollecita le chiese come stesse, e quella, sconsolata, le rispose di aver smarrito la strada di casa e che, purtroppo, non poteva rimettersi in viaggio perché, durante la caduta, aveva perso dalle ali molta di quella polverina magica che le consentiva di bilanciare il volo, ma aveva urgenza di trovare un posto sicuro dove poter deporre l’uovo che custodiva in sé, dal quale sarebbe nata la sua creatura.
Inoltre, con la voce prossima alle lacrime, le confidò, di temere non per la propria vita, ma per quella che stava per dare alla luce. Brevissimo, infatti, è il ciclo di splendore delle farfalle, fugace il periodo della loro vita alata, muoiono subito dopo aver deposto le uova (qualche giorno o qualche mese), e anche a lei sarebbe toccato lo stesso destino, perciò si fece promettere dalla Viola che, alla sua morte, non avrebbe abbandonato  la sua creatura, ma avrebbe vegliato su di lei per tutto il tempo necessario alla sua crescita, finché non fosse stata capace di dispiegare le ali  e involarsi.
La Viola, commossa, la invitò a ripararsi fra le sue ombrose foglie e le promise solennemente che non avrebbe fatto mai mancare all’orfanella le sue cure e le sue premure.

 


E quando accadde che la bella Vanessa, dopo aver deposto il suo piccolissimo uovo, chinò il capo, ripiegò miseramente le ali su se stessa, ed emise l’ultimo respiro, il fiore compassionevole non dimenticò la promessa fatta, e nemmeno per un istante abbandonò l’uovo, dal quale, però, non uscì subito l’insetto alato, ma una larva simile a un verme, un bruco peloso e bruttino che si muoveva strisciando, sul quale vegliò con sollecitudine, preoccupandosi che stesse ben riparato e che, per nutrirsi, avesse sempre a sufficienza i cibi preferiti, cioè foglie fresche di ortica o di erba parietaria.
La piccola larva crebbe rapidamente, mutando quattro o cinque volte la propria pelle, e quando, poi, ebbe completato il suo sviluppo, non si nutrì più e andò in cerca di un luogo adatto per trasformarsi in crisalide, l’ultimo stadio della metamorfosi che precede la nascita. Perché questo accadesse, si sospese a un ramo mediante un filo, avvolta in un involucro tessuto con fili di seta emessi dalla bocca, sprofondando in una morte apparente che durò per alcune settimane: anche in questo momento delicato il tenero fiore non mancò di vegliare amorevolmente su di lei.
Per tutto il tempo in cui l’uovo si trasformò da bruco a crisalide fino a diventare una bellissima farfalla, la dolce Viola le fu accanto, mai abbandonandola, facendole ombra con i suoi petali vellutati perché il sole non la bruciasse, agitando le foglie per spaventare qualche animale che potesse ghermirla o solo disturbarla, attenta a ogni segnale di pericolo, sorvegliando il suo respiro per essere certa che dormisse. Infatti la crisalide, anche se pareva morta, poiché non vedeva, non udiva, non mangiava, era viva, giacché palpitava e si contraeva quando la si toccava, semplicemente ora era in letargo, al riparo nel suo bozzolo, immobile e rigida, nell’ombra, in attesa della rinascita.
Mentre la crisalide stava così racchiusa, avvenne l’ultima trasformazione e, dopo un tempo più o meno lungo, rotto con il capino il suo involucro, finalmente munita di ali, nacque: il brutto bruco peloso che strisciava sul terreno era diventato una farfalla meravigliosa, bella come un fiore, in tutto somigliante alla sua povera mamma, gli stessi colori brillanti, gli stessi splendidi riflessi, sul capo due lunghe antenne, lateralmente due grandi occhi composti, cioè formati da migliaia di minutissimi occhi tubolari, la bocca succhiante fornita di una piccola proboscide per aspirare dai fiori il nettare e dai frutti le sostanze zuccherine, ampie ali nere, le anteriori, più grandi delle posteriori, macchiate di bianco e solcate da larghe strisce rosse, le posteriori ampiamente bordate di rosso, ricoperte da numerose piccole scaglie iridescenti e dai colori cangianti.
Liberatasi dell’involucro, subito la leggiadra creatura allargò le sue ali per volare e, librandosi leggera nell’aria, cominciò ad andare di fiore in fiore e di frutto in frutto per suggere i dolci nutrimenti, poi, d’improvviso, si allontanò di corsa verso l’alto, nel cielo azzurro.
La Viola la seguì con lo sguardo finché non scomparve alla sua vista. Pensò a un volo di prova, per esercitare le belle ali appena dispiegate e, con ansia, ne attese il ritorno per diversi giorni, ma la farfalla non tornò. Delusa, chinò il capo e pianse. Aveva voluto tanto bene a quella piccolina, si era preoccupata per lei come fa una mamma, e quella, invece, ora se n’era andata via senza nemmeno salutarla: che tristezza!
Ma si sbagliava il tenero fiore, perché la farfalla non aveva affatto dimenticato la sua protettrice. Quando era stata crisalide, chiusa nel suo bozzolo, come morta, ma ben viva, aveva udito le dolci ninna nanne che lei le aveva cantato, aveva inteso le parole amorevoli che le aveva sussurrato perché non avesse paura li, al buio del suo riparo, e anche sentito quelle imperiose rivolte agli animali che si avvicinavano e potevano costituire un pericolo: tutto ricordava, ed era profondamente grata alla Viola, che voleva ringraziare, ma non da sola.
Guidata dall’istinto, volò nella valle delle farfalle e andò a raccontare alle altre farfalle di come fosse stata amata e protetta da quel piccolo fiore e decisero di ringraziarla tutte insieme.
E così, una mattina, d’improvviso, proprio sopra la testa della Viola, si udì un concerto di ali che fremevano all’unisono nel cielo terso: guidate dalla giovane Vanessa, un corteo di aggraziate ed eleganti creaturine alate di ogni forma e colore, rosse con macchie blu, bianche con fasce nere, rosa o arancione, e verdi, turchese, marroni, bianche, volteggiavano accompagnate dal cinguettio degli uccellini.
A lungo solcarono l’aria, sfrecciando rapidissime, alcune volteggiando più in alto, altre più in basso, sfiorando foglie e fiori, incrociandosi in volo, in larghi gioiosi girotondi intorno alla Viola felice perché non era stata dimenticata. E solo quando le ombre della sera cominciarono a calare le farfalle presero congedo dalla Viola per fare ritorno nella loro valle, non prima, però, di averle promesso che sarebbero ritornate presto a farle visita.
Dopo i giorni interminabili trascorsi nella tristezza perché pensava di essere stata dimenticata, finalmente la Viola si rasserenò, e la sua gioia fu così grande che più intenso fu il profumo che cominciò a emanare il suo cuore d’oro ogni volta che il suo pensiero riandava alla giovane farfalla, e fu per questo che l’Angelo dei Fiori decise che da allora in poi il suo nome sarebbe stato: “Viola del pensiero”.

 

 

 

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