Era così bella la figlia della Luna, nata dall’incontro fra il Sole e la
Luna, una volta che il Signore del Cielo aveva avuto pietà del loro
impossibile amore ed aveva acconsentito che trascorressero un giorno e una
notte insieme. Si sa, il Sole e la Luna abitano lo stesso cielo, ma al
Sole è concesso il giorno, alla Luna la notte, il Sole è il padrone della
luce, la Luna la regina del buio, dunque sono destinati a non incontrarsi
mai, Ma come furono belli quegli unici momenti trascorsi insieme! Il Sole condusse la Luna nel suo Palazzo d’oro, traboccante di serre con
meravigliosi fiori arancioni e colonne tempestate di stupende opali dorate
luccicanti intermittenti ai suoi raggi luminosi; la Luna condusse il Sole
nel suo Castello d’argento, ombroso all’esterno, all’interno tappezzato di
bianchi diamanti , così rilucenti da illuminare tutte le stanze.
Dopo aver elogiato i rispettivi mondi e ringraziato il Signore del Cielo
per aver permesso loro d’incontrarsi, innamorati e felici trascorsero le
ore, finché non giunse il tempo del distacco: allora si congedarono con la
tristezza nel cuore, promettendo di amarsi per l’eternità.
Dall’unione di quel giorno nacque una figlia, che fu chiamata Selen,
vocabolo che nella lingua celeste significa “la risplendente”. E Selen
risplendeva davvero di vivida bellezza! Il suo viso era pallido, con le
gote appena appena rosate, gli occhi di un azzurro cupo, i lunghi capelli
corvini, le mani sottili. Con grazia fluttuava nelle lunghe vesti
intessute per lei alla luce delle Stelle dalle mani amorevoli di sua
madre, nelle interminabili notti in cui sospirava sul suo sposo che mai
più avrebbe potuto incontrare. La figlia della Luna non era sottoposta alla notte o al giorno come sua
madre e suo padre, poteva muoversi sia di giorno sia di notte, sicché,
diventata grande, per lei fu approntata una casetta fra le nuvole, così da
poter vedere suo padre, sia quando si ridestava sia quando si coricava, ma
anche incontrare la madre quando andava a farle visita di notte. Selen amava la sua casetta fra le nuvole ma, eccezion fatta per le visite
dei suoi genitori e delle Stelle, era sempre sola, per questo intristiva.
Un giorno sporse la testa dalle nuvole e cominciò a guardare verso il
basso: lì c’era la Terra. Bene non distingueva, troppa era la distanza, ma
la curiosità verso quel mondo lontano aumentava ogni giorno, ancor più
dopo che, sia il Sole che la Luna, che da secoli la conoscevano- il Sole
perché la illuminava di giorno, la Luna perché tenuamente la rischiarava
di notte- le raccontarono di come fosse e come vivessero gli abitanti.
Così le nacque in cuore il desiderio di andarci: ma le sarebbe stato possibile? Si
confidò con i suoi genitori, che decisero di chiedere al Signore del
Cielo, il quale accordò il permesso, ma solo per un giorno, dall’alba al
tramonto. Selen sarebbe stata trasportata sulla terra dal primo raggio di
Sole del mattino e ritrasportata su in cielo, nella sua casetta fra le
nuvole, dal primo raggio di Luna della sera.
Dopo mille raccomandazioni da parte di tutte le creature del Cielo, Luna,
Sole, Stelle, Pianeti, la fanciulla si sporse dalle nuvole e via, discese
verso il basso.
Com’era bello sentire l’aria sfiorarle il volto come una carezza, e quanti
profumi portava con sé! Selen era felice, e discese, discese, discese,
finché non planò dolcemente su un prato, tutto verde, puntellato di fiori
meravigliosi, sul quale volteggiavano farfalle multicolori: sulla Terra
era primavera, la stagione più bella, e tutta la natura volgeva al suo
massimo splendore. Lentamente Selen cominciò ad esplorare quel mondo ignoto che tanto la
incuriosiva, guardando in ogni direzione.
E ammirò la bellezza dei monti e delle colline, dei laghi del colore dello
smeraldo, quando intorno li circondava la vegetazione, celestini, quando
vi si specchiava solo il cielo, e poi scoprì gli uccelli con i loro canti
melodiosi e le farfalle variopinte che in tondo giravano sulle infinite
varietà dei fiori, e le creature dei boschi, scoiattoli, pernici, lepri…
Infine arrivò ad una distesa che le parve infinita, dalle colorazioni fra
l’azzurro e il verde: sembrava il cielo del mattino capovolto, ma era il
mare! Che splendore! E che profumo! E che belli quei candidi uccelli dai
versi striduli che felici volteggiavano sfiorandolo di tanto in tanto per
poi risalire di corsa verso l’alto: erano i gabbiani. Selen timidamente si avvicinò a quella distesa, prima affondando
delicatamente i piedi sulla sabbia dorata, poi sostando sugli scogli
affioranti qui e là, infine, d’impulso, si calò nell’acqua e d’istinto
cominciò a nuotare: che sensazione di benessere, mai si era sentita così
leggera e felice, nemmeno quando aveva volato per approdare sulla Terra!
Ma, oh, ecco che la sua lunga veste cominciò ad infastidirla, le si
arrotolò intorno alle caviglie, cominciava a mancarle il respiro,
annaspava, ma due braccia robuste l’afferrarono, la portarono fuori
dell’acqua e gentilmente la adagiarono su uno scoglio. Tornata a
respirare, placato l’affanno, Selen levò i suoi begli occhi chiari a
guardare il suo salvatore per ringraziarlo, ma già lui era svanito,
inabissandosi nella verde-azzurra distesa, però ricordava bene il suo
volto, anche se lo aveva visto solo per qualche istante: era così bello! Delusa per non averlo potuto ringraziare, Selen si accomodò su uno scoglio
e comincio a ravviarsi i lunghi capelli, intonando una dolce melodia che
le avevano insegnato le Stelle: era la più bella che mai fosse stata udita
dalle mute creature del mare, che a frotte emersero, restando sospese a
mezz’acqua estasiate ad ascoltarla: fra loro c’era anche il suo salvatore. Selen lo riconobbe subito e gli rivolse la parola, ma lui non poté
rispondere perché, come tutte le creature marine, era muto, però i suoi
occhi parlarono per lui, e a gesti le fece intendere di essere il figlio
del mare. Tese la mano a Selen, che subito comprese che lui voleva che la
seguisse senza paura: si fidò di lui e raccolse l’invito. Insieme
s’inabissarono e, senza mai lasciarle la mano, lui la portò in
esplorazione del suo meraviglioso mondo d’acqua. Le mostrò i pesci più
bizzarri e dai colori più disparati, i più bei rami di corallo e le
conchiglie dalle forme più strane, le madrepore e le stelle marine, e
tutti gli altri tesori nascosti fra anfratti e rocce. Non c’era bisogno di
parlare, parlavano da sole le bellezze del mare e parlavano gli occhi di
Selen e del figlio del mare.
Selen era felice, nuotava con naturalezza in quel mondo affascinante, come
se le fosse sempre appartenuto, accanto a quella creatura soave dagli
splendidi occhi azzurri che mai la lasciava, solo, però, di tanto in tanto
doveva riemergere, non potendo nuotare a lungo sott’acqua essendo
sprovvista dello strumento adatto al nuoto, cioè, la coda, perciò ben
presto si stancava. Il giorno, poi, trascorse, il tempo stava per scadere: Selen doveva
tornare alla sua casa nel cielo. Insieme felice e affranta riemerse
dall’acqua, si accoccolò su uno scoglio a guardare il Cielo in attesa del
raggio di Luna per il ritorno, ma non voleva tornare a casa, e il figlio
del mare con i suoi occhi le diceva di restare. Allora scoppiò in un
pianto dirotto ed invocò l’aiuto della Fata del Cielo, che subito accorse
e le chiese il motivo del suo pianto. Selen le confidò di essersi
innamorata di quel mondo e del figlio del mare che ricambiava esattamente
il suo sentimento: anche se non poteva parlare, lui era riuscito
ugualmente a farsi capire! Allora la Fata del Cielo, quando Selen si fu
calmata, le disse che era in suo potere farla vivere in mare con quello
che sarebbe diventato il suo sposo, però poi mai più le sarebbe stato
possibile tornare indietro, su nel Cielo e, in cambio della coda per nuotare,
avrebbe perso per sempre l’uso della parola. Selen non esitò nemmeno un
istante, accettò, e, dopo un ultimo abbraccio alla Fata, che subito si
affrettò a dotarla di una lunga coda, s’inabissò in mare con il suo
innamorato. Ma Selen non dimenticò i suoi genitori, e mai mancò di
emergere un istante dalle acque, all’alba,per salutare sua madre la Luna
quando si ritirava dal Cielo, e al tramonto, per rivolgere uno sguardo a
suo padre il Sole quando si congedava dal giorno, che, felici della gioia
della loro unica figlia, si rassegnarono a guardarla dall’alto,
continuando ad amarla da lontano.
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