Francesca Santucci

LA MORTE DELLA MADONNA

(Francesca Santucci, “Donne di Caravaggio”, Kimerik aprile 2015)

 

 

  Così l’ anima di Maria uscì dal corpo e fu accolta dalle braccia di Cristo,

 immune dal dolore così come era stata immune dal peccato.

(Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, L’assunzione di Maria)

 

Nulla racconta il Nuovo Testamento circa la fine (ma non parla nemmeno dell’inizio) della vita terrena della Madonna, e l’ultima volta che la madre di Gesù vi compare è nel primo capitolo degli Atti, in mezzo agli Apostoli, in orazione nel cenacolo, in attesa della discesa dello Spirito Santo, assidui e concordi nella preghiera […]con Maria, la madre di Gesù (cf. At 1, 14). Al contrario, abbondanza di notizie, in generale sulla Vergine, si ritrovano negli scritti apocrifi, soprattutto nel Protovangelo di Giacomo e nella Narrazione di S. Giovanni, ed anche ciò che sappiamo sul termine della sua esistenza terrena appartiene alla tradizione, non alle Scritture. Nel 370 ancóra il vescovo Epifanio di Salamina, che elaborò una vasta dottrina mariana e fu il primo autore a interessarsi del termine della vita della Madonna, non conosceva il modo della sua dipartita, che ammantò di un velo di mistero, narrando solo che era sopravvissuta di ventiquattro anni al Figlio divino e che era morta all’età di settantadue anni (secondo altri morì a sessantanni). Nella sua opera, Panarion, non scegliendone alcuna, però, avanzò tre possibili ipotesi: che la Madonna non era morta, ma era stata trasferita da Dio in un luogo migliore; che era morta martire; che era morta di morte naturale. Di certo sperimentò la morte, e i Vangeli apocrifi, che non sono dipendenti dai Vangeli canonici, ma ben più antecedenti, e si collegano a tradizioni più antiche, ricostruiscono tutta la sua vita e si soffermano anche sulla sua fine, con vari scritti peculiari intitolati transito (Transitus Mariae Virginis) e dormizione (Dormitio Mariae Virginis), alludendo, col termine dormizione, il più antico che si riferisca alla conclusione della vita terrena di Maria, al fatto che non si trattò di una morte normale e che il suo corpo non patì alcuna decomposizione nel sepolcro, ma seguì la sorte di quello di suo Figlio.

La putredine e i vermi sono un obbrobrio dell'umana natura e da questo obbrobrio fu libera la Madonna in primo luogo perché in lei Cristo si era incarnato; in secondo luogo per la dignità del suo corpo che è detto trono di Dio e tabernacolo del Signore, degno di essere conservato piuttosto in cielo che in terra, in terzo luogo per la perfetta purezza di cui fu adorna.

(S. Agostino)

 

Il racconto è sempre più o meno simile e verte su questi temi fondamentali: annunzio a Maria della prossima morte e assunzione da parte dell'arcangelo Gabriele con l'offerta di una palma; riunione attorno al letto della morente di tutti gli Apostoli trasportati da nubi luminose; ostilità dei Giudei e loro punizione; descrizione del transito di Maria (a Efeso o a Gerusalemme) tra splendori di luci, canti e cori angelici.
Secondo quanto riportato dalle fonti apocrife risalenti al II secolo e diffusi entro il V-VI secolo, d’origine cristiano-giudaica, in greco, latino, copto, arabo, armeno, siriaco, slavo (come la narrazione, parzialmente conservata in greco e più completamente in etiopico, attribuita ad un certo Leucio, discepolo di S. Giovanni), molti anni dopo la Pentecoste, quando ormai gli Apostoli si erano dispersi per il mondo, un angelo con un ramo di palma (simbolo dell’ingresso in Paradiso), apparve a Maria, che dimorava a Gerusalemme, annunciandole l'imminente morte: era stata lei stessa a chiedere di morire per rivedere il Figlio. Cominciò, allora, a prepararsi alla dipartita sia fisicamente che spiritualmente, pregò il Figlio di venirla a prenderla personalmente e convocò parenti ed amici perché le fossero accanto nel momento estremo. Espresse anche il desiderio di rivedere gli Apostoli che, prodigiosamente, furono trasportati dai luoghi di missione nei quali si trovavano e trascorsero con lei una notte di veglia e di preghiera. La Madonna, dopo aver comunicato le ultime volontà, si spense senza alcun dolore, semplicemente si “addormentò” (come ritenuto dai francescani, per i domenicani, invece, si trattò di una vera morte fisica); al mattino giunse il Signore ad accoglierne l'animula e a portarla in cielo.
Jacopo da Varagine, nella Legenda Aurea, con accenti toccanti e poetici, narra come avvenne il transito della Vergine secondo uno scritto apocrifo di san Giovanni, riportando che la madre di Gesù si era ritirata a vivere presso la montagna di Sion, vicino Gerusalemme, e che, un giorno in cui il suo cuore si era acceso di un forte desiderio di rivedere il Figlio, le era apparso un angelo splendente che le aveva annunciato che dopo tre giorni avrebbe lasciato il suo corpo. E così accadde. Presenti gli Apostoli, trasportati da bianche nubi dai luoghi dove svolgevano la loro missione, il Signore, accompagnato da schiere angeliche, discese dal Cielo a prelevare, tra cori celestiali, l’anima santa della Madre.

 

Quando la Madonna vide tutti gli apostoli attorno a sé benedisse il Signore e si sedette in mezzo a loro circondata di lampade e lucerne accese.
Ecco che verso l’ora terza venne Gesù con le angeliche schiere, con le legioni dei patriarchi, dei martiri, dei confessori e con i cori delle vergini: tutta la santa schiera attorniò la Vergine e si mise a cantare cantici di lode.
Dopodiché Cristo disse: “Vieni diletta, io ti pongo sul mio trono perché ho desiderato la tua presenza”. E la Vergine: «Signore, il mio cuore è pronto!” […] Così l’ anima di Maria uscì dal corpo e fu accolta dalle braccia di Cristo, immune dal dolore così come era stata immune dal peccato.[…. ]E subito il corpo di Maria fu circondato da rose e gigli simbolo delle schiere dei martiri, degli angeli, dei confessori, delle vergini. […].
Gli apostoli videro che l’anima di Maria era di un candore che nessuna lingua umana riuscirebbe a descrivere.

(Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, L’assunzione di Maria)

 

Sia la letteratura che la liturgia e l’iconografia della dormizione concordano nell’articolare la fine terrena di Maria in tre momenti, la sua morte, la venuta di Gesù che prende la sua anima, la riunione dell’anima con il corpo, e l’ascensione spirituale e assunzione in cielo, ma nell’arte è stato soprattutto il momento della morte a dare origine ad una lunga serie di opere, privilegiando quella medievale e bizantina rappresentare l’apparizione di Cristo che scende dal cielo, accompagnato dagli angeli, per accogliere l’animula della Madonna, talvolta raffigurato quando prende tra le braccia l’anima di sua madre, presentata come una bambina, creando, così, una rappresentazione di Madonna col bambino in ribaltamento di ruoli, dove è il Figlio adulto a stringere a sé la mamma piccola.
Nel Quattrocento, invece, fu esaltata soprattutto la liturgia che si svolge intorno alla Vergine morente, con candele, aspersorio, gli Apostoli ritornati dalla predicazione e Pietro vestito di paramenti sacerdotali, ma, dopo la Controriforma, prevalse l’esaltazione dell’aspetto umano, soprattutto con Caravaggio, che eseguì per l’altare della chiesa di Santa Maria della Scala, a Trastevere, in Roma, appartenente all’ordine dei carmelitani scalzi, la Morte della Madonna, conosciuta anche come Morte della Vergine, un’immensa pala, quasi cinque metri di altezza, terminata nel maggio 1606, ma commissionata ben cinque anni prima dal giureconsulto Laerzio Cherubini come pala d’altare per una cappella che, nel 1601, aveva acquistato nella chiesa di Santa Maria della Scala.

 

Caravaggio, Morte della Madonna (1606).

 

Circondato da un alone di leggenda, quest’ultimo famosissimo dipinto fu accettato dal committente ma, come molte altre opere di Caravaggio, venne rifiutato dai carmelitani scalzi, principalmente perché la rappresentazione della Madonna con il volto cereo, il ventre enfiato, i piedi nudi, priva di qualsiasi attributo mistico (tranne l’aureola), in “carnalità”, era violentemente “terrena” e non consona con la tradizione e con l'iconografia ufficiale, che prescriveva che venisse raffigurata non nel momento della scomparsa dalla terra, ma nell' attimo del transito. Ma l’opera fu rifiutata anche per la mancanza di decoro, essendosi venuto a sapere che, per raffigurare il corpo della Vergine, Caravaggio, come chiaramente affermato dai suoi primi biografi, Giulio Mancini (1617-1621), Giovanni Baglione (1642), e Giovan Pietro Bellori (1672), si era ispirato al cadavere gonfio di una prostituta romana annegata nel Tevere, qualche meretrice sozza degli ortacci (malfamato sobborgo romano) qualche sua bagascia, una cortigiana da lui amata.2
Giulio Mancini, nell'autunno del 1606, dopo aver parlato con i carmelitani, scrisse una lettera al fratello a Siena in cui definiva la pala spropositata di lascivia e di decoro e aggiunse che era ben fatta ma senza decoro e invenzione e pulitezza, a sottolineare che non era stata opera d’immaginazione, ma dipinta dal vero, ispirandosi, appunto, l’artista al cadavere di una prostituta annegata nel fiume, perciò la Madonna appariva sporca e indecorosa.

[…] (la pala fu) fatta levar di detta chiesa da quei padri per avervi ritratto in persona di Nostra Donna una cortigiana da lui amata e così scrupolosa e senza devozione. 

(Giulio Mancini, Considerazioni sulla pittura)

Per la Madonna della Scala in Trastevere dipinse il Transito di N. Donna, ma perché avea fatto con poco decoro la Madonna gonfia e con gambe scoperte, fu levata via e la comperò il duca di Mantova, e la mise in Mantova nella sua nobilissima galleria.

(Giovanni Baglione, vita di Michelangelo da Caravaggio pittore)

[…]il Transito della Madonna nella chiesa della Scala, rimosso per avervi troppo imitato una donna morta gonfia.

(Giovan Pietro Bellori, Vita di Michelangelo da Caravaggio)

 

Inoltre l’eccessivo realismo della rappresentazione contrastava con quanto aveva sancito il cardinale Gabriele Paleotti nel suo celebre Discorso intorno alle immagini sacre e profane pubblicato nel 1582, in cui dettava i principi ai quali dovevano attenersi gli artisti della Controriforma circa i ritratti dei santi.

Primamente parrebbe a noi che s’avesse a porre gran cura nel sciegliere le persone di quelli che si hanno da ritrarre per santi, accio siano santi veri et approvati dal consenso universale di santa Chiesa, e non immaginati a propria sodisfazzione o a relazione altrui; overo ch’almeno siano nel numero de’ beati, e per tali publicamente da tutti tenuti et accettati, accompagnandoli con quelle note della loro beatitudine, che piamente suole usarsi nelle imagini di essi, di che altrove si parlera. Di poi, che siano ritratti con l’effigie propria, se si può sapere, o verisimile, o almeno con quella che dai buoni et intelligenti suole essere figurata e che porta seco probabile apparenza che cosi fosse. Ma in nessun modo mai siano ritratti con faccie de particolari e di persone mondane e dagli altri conosciute; perche, oltre l’essere cosa vana et indignissima, verrebbe a rassomigliare un re posto nel trono della sua maesta con la maschera al viso d’un cerettano o d’altra persona ignobile e conosciuta dal volgo per privatissima, tal che chi la riguardasse, subito si movesse a riso, oltre molt’altre inconvenienze, come al luogo suo si dirà piu largamente.

(Gabriele Paleotti  CAP. XXIII.Dei ritratti de’ santi, Discorso intorno alle immagini sacre e profane)

 

E contrastava anche con l’Editto sull’esame preventivo delle immagini sacre, promulgato in Roma nel 1603 dal cardinale Camillo Borghese, che disciplinava le rappresentazioni sacre.

 […] alli quali pittori sotto le medesime pene si proibisce mettere nelle vie e luochi pubblici Imagine del Salvatore, della Madonna ò dei Santi, ò Sante con ornamenti indecenti, ò altra cosa profana[…]

(Camillo Borghese, Editto sull’esame preventivo delle immagini sacre)

 

Il volto della donna dipinta come Maria sembrerebbe richiamare i lineamenti di Lena (Maddalena Antognetti), la “donna” dell’artista, una bella popolana che esercitava il meretricio (secondo alcuni cortigiana, secondo altri meretrice zozza) che già in altre occasioni Caravaggio aveva usato come modella e per la quale si era battuto in una rissa con il notaio Mariano Pasqualone ed era pure finito sotto processo; in realtà si tratta di quello di un'altra prostituta (a quel tempo Roma pullulava di prostitute e cortigiane, che si concedevano anche ad ecclesiastici), Anna Bianchini detta “Annuccia”.
Nata Siena nel 1580, giunta a Roma intorno al 1593 (con un’altra modella di Caravaggio, Fillide Melandroni, insieme alle rispettive famiglie -figlie e sorelle di altre prostitute-entrambe, poi, avviate giovanissime al meretricio),
dai capelli rosci e lunghi, come la tramanda l’artista e come risulta dai verbali del Tribunale del Governatore, esuberante e vivace, fu ben nota alla polizia perché presente in molte risse e come frequentatrice di pittori. Annuccia, che compare anche in altri tre dipinti di Caravaggio, Maddalena penitente (1594), Riposo durante la fuga in Egitto (1597) e Marta e Maddalena (1598), fu la più sfortunata delle sue modelle, finendo i suoi giorni, a soli 25 anni, annegata nel Tevere. Pare che Caravaggio fosse molto legato a questa giovane, alla quale l’accomunava il temperamento impetuoso, e fu probabilmente proprio il turbamento seguito al ritrovamento del suo cadavere a spingerlo alla rappresentazione del corpo enfiato della Madonna.
La pala, respinta con sdegno dai carmelitani scalzi che, offesi dal realismo poco ortodosso della Vergine, non avevano compreso la sconvolgente umanità che intendeva sottolineare l’artista attraverso il cadavere di una giovane donna annegata dalle gambe scoperte e gonfie, venne tolta dall'altare, ma, dietro consiglio di Rubens, nel 1607 fu acquistata, per la somma di 280 ducati d'oro, per la collezione del Duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, dal cardinale Ferdinando Gonzaga (che, qualche anno dopo, si sarebbe anche lui mobilitato per far ottenere a Caravaggio il perdono papale per l’assassinio del Tommasoni), poi passò nelle raccolte di Carlo I d'Inghilterra e infine in Francia. Per la sua straordinaria potenza innovativa grande entusiasmo suscitò il dipinto fra gli artisti del tempo che, conquistati proprio da ciò che aveva indignato i religiosi, cioè l’estremo realismo con cui l’autore aveva raffigurato la Madonna e l'avere introdotto nelle scene sacre la quotidianità nei suoi aspetti più umili, novità che ancóra oggi affascinano noi contemporanei e rendono Caravaggio il grande innovatore della pittura religiosa seicentesca, pretesero che l’opera fosse esposta al pubblico dal 7 al 14 aprile, prima che lasciasse Roma per Mantova.
L’ambiente umile entro cui collocò la scena, sovrastata da un drappeggio rosso cupo, ricadente in rivoli di luce scarlatta, unico elemento sfarzoso fra tanta povertà, suscita una toccante commozione, perché comunica subito un'impressione di dignitosa miseria: è una squallida stanza, con un semplice soffitto di legno grezzo e le pareti rozzamente intonacate, ove, collocato al centro, abbandonato su un povero letto, giace il corpo senza vita della Madonna. Ha un volto giovanile, come a voler ricordare che, per volontà divina, le sono state risparmiate le devastazioni della vecchiaia; è vestita di rosso (colore il cui nome deriva dal latino rutilus e ruber che, concettualmente, significano “sangue e vita”, e che, nella simbologia cristiana, rappresenta la passione di Cristo ed il suo sangue versato, il martirio e la fede fervida), rosso come il grande drappeggio, simile a un sipario, che dal soffitto pende sopra di lei e che sembra volteggiare verso l’alto come manovrato da forze invisibili. È priva di qualsiasi attributo divino, ad eccezione dell’esile cerchio di luce dietro il cupo, che brilla nell’oscurità, segno distintivo degli esseri dotati di una spiccata spiritualità, come gli angeli e i santi, che indica ciò che di più nobile ha l’essere umano: la testa, sede dell’intelletto e veicolo dell’elevazione spirituale. Le sono accanto gli Apostoli addolorati, che si addensano diagonalmente intorno al suo letto nella zona d’ombra a sinistra del cataletto, illuminato a bagliori; in primo piano, rannicchiata su una scarna sedia, raggomitolata su se stessa, c’è la Maddalena che piange con il capo abbassato e sorretto dalle mani. Alle spalle degli Apostoli, i cui gesti sono fortemente patetici, tre astanti confabulano, come ad interrogarsi sull’inaspettato accaduto; un altro personaggio, quasi di profilo, rivolge lo sguardo verso qualcuno che si allontana.
Attraverso il cadavere abbandonato, con la mano destra sul ventre gonfio (a ricordare all’osservatore che un giorno lì, in quel ventre benedetto, una sacra vita aveva pulsato), i piedi nudi esposti già rigidi (forse per il sopravvenuto rigor mortis), il braccio sinistro inerte sul cuscino, la bacinella di rame, in basso, quasi al centro, contenente la soluzione d'aceto pronta per bagnare le bende con cui lavare le spoglie mortali, Caravaggio mostra apertamente la morte “terrena”, come ad insinuare un dubbio sulla possibilità di un aldilà, sgomento di fronte all’evento definitivo ed irrevocabile, ma la diagonale di luce che filtra da sinistra verso destra lambendo le teste calve degli Apostoli, accarezzando il dolcissimo volto di Maria dai capelli scomposti sul cuscino, per approdare, infine, sul collo della Maddalena, comunica un messaggio spirituale, non di fine, ma di principio, non di disperazione, ma di speranza: è la luce salvifica del Divino che tutti illumina, persino il più grande peccatore, e che attesta una forma di “esistenza” oltre.
Caravaggio non immortala la Madonna secondo l’iconografia classica, il suo corpo è rigido, non fulgente, intorno a lei non ci sono schiere melodiose di messaggeri celesti, non tripudio di fiori; non c’è la palma, simbolo del trionfo del martirio sulla morte, che, come tramanda la
Legenda Aurea, lei stessa aveva chiesto all’evangelista Giovanni di portare nella cerimonia della sua sepoltura; non gigli, simbolo della sua castità e purezza, suoi attributi sempre presenti nelle scene che la rappresentano; non rose, celebranti il suo essere “rosa senza spine”, perché, immacolata e vergine, non essendo stata mai toccata la sua anima dal peccato, perciò, preservata immune da ogni colpa originale, finito il corso della sua vita, per l’unione spirituale e corporea con il Cristo glorioso, fase finale ed eterna della redenzione, non dovette attendere la fine dei tempi.
Nessuna presenza ultraterrena, nessun segno di una realtà soprannaturale viene a turbare l’eccezionale realismo della scena, in cui ogni elemento concorre a sottolineare la tragicità del momento: il povero corpo morto della Madonna, con indosso una veste semplice slacciata sul corpetto come a volerle dare respiro, disteso su una tavola di legno che funge da catafalco, gli Apostoli, sapientemente raggruppati, uomini anziani che, variamente, esprimono il loro dolore (san Giovanni in piedi a destra, composto e pensoso, la testa appoggiata a una mano, compreso nel dolore e come assorto in malinconiche riflessioni, accanto a lui un altro Apostolo con le mani sugli occhi ad asciugare le lacrime come un bambino, un altro ancóra che si copre gli occhi e, come per soffocare il dolore, si porta una mano alla gola), in basso la Maddalena affranta, sprofondata in un pianto vero come per il lutto di una persona cara, tutto delineato da un’intonazione cromatica scura, con dominanza di rossi, accompagnato, però, da efficaci effetti di luce.
Contro l’iconografia ufficiale, che prescriveva che la Vergine, Madre del Cristo Redentore, limpida nell’anima perché preservata dal peccato, fosse rappresentata non nella carnale scomparsa dalla terra ma nel momento del transito in Cielo, dalla vita terrena a quella spirituale, alla celeste gloria in anima e corpo, in un contesto gioioso e luminoso, Caravaggio, in evidente impegno naturalistico, guardando agli uomini e alle cose con occhi disincantati, in opposizione all’ideale umanistico che per due secoli si era adoprato per offrire la figura umana nella luce migliore, e sottomettendo ad esso ogni altro elemento figurativo, “osò” raffigurarla morta come una qualsiasi donna comune, come una popolana annegata nel fiume, come una peccatrice, come la peccatrice che le siede accanto nel dipinto, perché, riflettendo sul mistero della morte, suo intento era ricordare che accomuna tutti, la Madre del Cristo e la meretrice.
Mai prima la pittura aveva offerto una simile rappresentazione della morte della Madonna, in una stanza così umile, con la Vergine tanto povera e fragile, e gli Apostoli e gli altri presenti così profondamente addolorati, tutti in lacrime, soprattutto la Maddalena, che sembra una serva che piange a dirotto. In eccesso di umanizzazione del sacro, tanto ricercato dall’artista, trasportato nel quotidiano, nell’urgenza di rappresentare “il vero”, più che una morte eccezionale il dipinto sembra evocare la morte di una donna comune, circondata da gente comune che la piange, più afflitta, meno afflitta, nel vario disordine della vita reale. Eppure Caravaggio non era blasfemo, dissacrante, la sua spiritualità si legava alla lezione etica di san Carlo Borromeo (1538-1584) e all’apostolato di san Filippo Neri (1515-1595) che praticava una “religione di strada”, cercava la verità cristiana nella realtà, perciò rappresentava le storie sacre raffigurando persone vere, per riportare il sacro nel quotidiano. Ma rappresentare la morte di una donna eccezionale come quella di una donna reale “morta gonfia”, cioè del cadavere di un’annegata, offrendola, senza ritegno, con le “gambe scoperte”, privandola di ogni sacralità, mostrando non il transito soprannaturale ma la tragedia di un evento umano in cui è il terreno dolore corale e non la spirituale gioia del passaggio alla vita celeste ad essere esaltato, proprio non poteva piacere ai religiosi, perciò il dipinto venne considerato insolente e bandito dalla maggior parte della curia romana.
Non era la prima volta che un suo quadro veniva rifiutato, ma questo ennesimo rifiuto dovette essere ben più duro per Caravaggio, tanto osannato, poi così accerchiato da sfavori, la cui vita, da allora in poi, assunse risvolti ancóra più drammatici, con l’uccisione di Ranuccio Tomassoni, la fuga e il drammatico finale sul litorale maremmano, tanto che Giulio Mancini, che aveva seguito l'intero svolgersi della vicenda, parlando anche con i padri dell'ordine carmelitano, si chiese se quella delusione non potesse, in qualche modo, legarsi agli sviluppi della vita dell’artista, così annotando: Quei buoni padri non lo volsero e forsi quel poverello patì tanti travagli di sua vita.3
Infine la stupenda tela fu presto tolta dall’altare e posta in vendita, e Caravaggio si avviò al turbolento epilogo della sua vita, morendo malamente, come appunto male avea vivuto,4 senza aver mai più fatto ritorno a Roma.
Caravaggio che, prima della Morte della Madonna, aveva già, in un lavoro giovanile, rappresentato la Vergine nel Riposo durante la fuga in Egitto (1595-1596), ritraendola come una madre che dolcemente coccola il suo bambino, tornò ancóra sull’iconografia della Madonna realizzando, sempre in personale rappresentazione fedele al “vero”, altre umanissime, ma provocatorie e ortodosse figure:  la Madonna di Loreto (1604-1606), la Madonna dei Palafrenieri (1605-1606) e la Madonna del Rosario (1607).
 La Madonna di Loreto, nota anche come Madonna dei Pellegrini, fu l’ultima importante commissione ricevuta a Roma da Caravaggio. L’opera maturò sull’eco del Giubileo tenutosi a Roma nel 1600, avvenimento eccezionale  che, per l’affollamento dei pellegrini, certamente  dovette molto colpire l’inquieto e turbolento pittore e lasciare un segno nella sua tumultuosa e tragica esistenza.

 

Caravaggio, Madonna di Loreto o Madonna dei Pellegrini (1604-1606).

 

Esulando dall'iconografìa tradizionale del tema, Caravaggio rappresentò la Vergine che appare col Bambin Gesù a due anziani pellegrini, un uomo e una donna, simbolo di tutta l’umanità, mal vestiti e con i piedi nudi e sporchi per il pellegrinaggio,  inginocchiati in adorazione, come una semplice donna del popolo,  vestita dimessamente, con i capelli scuri raccolti, con in braccio il suo bambino, ferma  sulla soglia di un'umile casa, a uno stipite della quale è appesa una pelle di capretto.
Quest’interpretazione quotidiana del tema, presentare Maria come una popolana di fronte ai due viandanti con i piedi sporchi, suscitò riprovazione da parte dei critici, per la mancanza di decoro e perché non sottolineava a sufficienza la devozione e la sacralità del tema. Ma ciò che maggiormente inquietò dell’interpretazione caravaggesca non fu la rappresentazione dei  piedi sudici dei pellegrini,  elemento di grande realismo che non suscitava sdegno perché una condizione imprescindibile del pellegrinaggio era proprio che il cammino dovesse essere fatto a piedi scalzi, ma l’aver rappresentato la Madonna priva di sacralità, come una donna semplice, atteggiata in posa naturale e, per di più, con il volto di “Lena”, Maddalena Antognetti, la cortigiana nota in città per essere stata l'amante di molti potenti e per aver avuto non pochi guai con la giustizia. E poco importava che per la posa e il profilo della Vergine Caravaggio si fosse ispirato ad una statua classica e che, in forte aderenza al vero, ricordando che la tradizione voleva che i fedeli percorressero scalzi l’ultimo tratto di strada che portava al santuario, avesse rappresentato i pellegrini con i piedi sudici per esaltare, appunto, il tema del pellegrinaggio ed esortare, così, alla fede: restava il fatto che, di fronte ad una Madonna con il volto di una prostituta la gente non era disposta a raccogliersi in preghiera. L’opera non fu tolta dall’altare, ma, come annotò Giovanni Baglione, suscitò estremo schiamazzo.5
Anche la Madonna dei Palafrenieri, commissionata a Caravaggio per l’'altare della confraternita dei Palafrenieri nella cappella di Sant'Anna in San Pietro, suscitò clamore:  la pala venne rifiutata per mancanza di decoro e ceduta al cardinale Scipione Borghese, il quale immediatamente la espose nel grande salone d'ingresso di villa Borghese.

 

Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri (1606).

 

Aderendo alla richiesta dei committenti, Caravaggio aveva raffigurato Maria col Bambino nell'atto di schiacciare il serpente, simbolo del peccato originale, alla presenza della madre Anna, la santa patrona dei Palafrenieri papali; come stabilito dalla bolla papale con la quale Pio IV nel 1569 aveva posto fine a una accesa polemica tra cattolici e protestanti, Caravaggio aveva rappresentato il  serpente pestato dalla Vergine con l'aiuto del Figlio.
Nonostante si fosse attenuto fedelmente alla prescrizione, il dipinto non venne accettato dai committenti perché, come riferisce Bellori, erano ritratti in esso vilmente la Vergine con Gesù fanciullo ignudo. Ciò che infastidì fu che, rompendo con la tradizione, Caravaggio aveva offerto un'interpretazione naturalistica delle Sacre Scritture, attraverso una pittura di acceso realismo, imprimendo alla scena un carattere domestico,  esaltando i connotati realistici e umani dei personaggi, caratterizzando Maria vestita come una “lavandaia”,  sant’Anna come una “vecchia ciociara”, il Bambino nudo e con un’età difforme dalla tradizione figurativa, soprattutto, utilizzando  come modella per la figura della Madonna la famosa cortigiana Maddalena Antognetti.
La Madonna del Rosario, presumibilmente eseguita per la famiglia Carafa Colonna dopo che Caravaggio, in fuga da Roma dopo l’assassinio di Ranuccio da Terni, aveva raggiunto Napoli intorno alla fine del 1606, è, forse, la prima  grande tela eseguita a Napoli e determinò una svolta decisiva nell'arte della città campana.

 

Caravaggio, Madonna del Rosario (1607).

 

La scena, illuminata da una luce radente che fa emergere dal fondo scuro le figure con vigoroso plasticismo, rappresenta la Vergine col Bambino sotto un ricco tendaggio rosso annodato, seduta sopraelevata, che appare a san Domenico mentre distribuisce rosari ai poveri. All'estrema destra san Pietro Martire indica la miracolosa apparizione; tre lazzari napoletani scalzi protendono le mani verso san Domenico; entrambe inginocchiate stanno una giovane donna con la figlioletta. Nel gruppo all'estrema sinistra è raffigurato, quasi schiacciato verso il margine del dipinto, con la testa girata verso lo spettatore, un uomo vestito di nero, con una gorgiera bianca, probabilmente Luigi Carafa, il committente dell’opera. La composizione, insolitamente affollata, rivela un gusto per scene ricche di figure e di complessa struttura, confermato dalle Sette opere di misericordia (opera in cui pure è presente la Madonna che, con  il Bambino fra le  braccia,  dalla “balconata” formata dagli angeli, assiste all’affollata scena degli episodi che illustrano le opere di misericordia). Rispetto alle opere romane, per esempio la Madonna dei Pellegrini, i fedeli non si rivolgono direttamente alla Vergine, che sembra invisibile al gruppo dei poveri, ma si protendono verso san  Domenico, scegliendo come intermediari i domenicani.
Questa pala, al contrario di altre tele del Caravaggio, come La morte della Madonna,  non fu considerata indecorosa, giacché qui tutto è nel pieno rispetto del tema teologico, casto e sacro, unico elemento per qualcuno disturbante, ma non scandaloso, forse, i piedi impolverati dell’uomo  implorante in primo piano che accentuano  il sapore realistico della descrizione, tuttavia, per motivi che restano oscuri, non venne mai collocata nella cappella di famiglia dei Carafa, ma fu donata verso il 1620 alla chiesa dei Domenicani di Anversa da un gruppo di artisti tra i quali Rubens, Jan Brueghel e van Balen.

 

 

 

 

NOTE

1)      Esemplare rappresentazione del tema è la tempera su tavola Cristo con l'animula della Madonna, facente parte della pala della Morte della Vergine, dipinta da Andrea Mantegna nel 1462 oggi al Prado, in cui si vede appunto, il Cristo che, fra nuvole e angeli,  ascende al Cielo tenendo fra le mani una statuetta rappresentante una bambina, ossia l’animula della Vergine.

2)      G. Mancini, Considerazioni sulla pittura.

3)      Op.cit.

4)      G. Baglione, Vita di Michelangelo da Caravaggio pittore.

5)      G. Baglione, Le vite de’ pittori, 1642.

 

 

@

Back