Lascia che il vento soffi, foglia,
e
non restare attaccata al tuo ramo.
Tu
sei solo la veste, non il corpo.
(Hans Hurs Von Balthasar)
Era la notte di San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti, la notte in
cui si crede che, se si vede cadere una stella, basti esprimere un
desiderio ad occhi chiusi e quello di certo si avvererà. Ma prima di
quella volta non si era mai vista una simile pioggia di stelle cadenti, fu
uno spettacolo davvero magnifico! Il cielo per diverse ore fu solcato da
migliaia di guizzi luminosi, sembrava che tutte le stelle si staccassero
dalla volta celeste per precipitarsi sulla terra come silenziosi fuochi
d’artificio. Poi la pioggia di stelle si placò e la cupola stellata
ritornò alla sua serenità. Anche il Vento assistette in silenzio al
prodigioso fenomeno, fiero di sé per avervi contribuito, liberando nei
giorni precedenti le vie del cielo in modo da renderlo così terso e
luminoso che tutti potessero godere di quella meraviglia. Uno dei suoi
poteri era proprio questo, sgombrare il cielo dalle nubi, oltre che
ripulire l’aria dopo la tempesta, smorzare il caldo, spegnere gli incendi.
Nessuno
in natura era più potente di lui, esercitava la sua azione sulla
superficie delle terre e degli oceani, causando le correnti e il moto
ondoso e distribuendo il vapore acqueo nell’aria e le piogge sulla Terra.
Inoltre sapeva assumere tante forme diverse e soffiare dalle più diverse
direzioni con le più disparate intensità di temperature, per questo gli
umani gli avevano dato tanti nomi: lo chiamavano tramontana quando,
freddo, spirava
da nord, grecale
quando
arrivava da nord-est,
levante
se da est a ovest, temibile
scirocco
quando, proveniente da sud est, soffiava così forte da causare la pazzia
nelle menti più deboli, ostro quando
si spingeva da sud,
libeccio caldo e umido, quando veniva da sud ovest, zefiro
quando tiepido alitava da ovest, maestrale
quando sorprendeva da nord-ovest.
Sapeva essere tiepida brezza, lieve come una carezza, gelida bora con
folate tremende capaci di abbattere e trascinare via persone e cose, e
poi, quando massima voleva che fosse la sua velocità, convertirsi in
ciclone, tifone o uragano, suscitando onde altissime e violente, temporali
fortissimi e piogge torrenziali. In alta montagna, poi, rapido si
trasformava in tormenta, turbinio di gelida neve asciutta polverizzata,
capace di accecare, nascondere l’orizzonte, ricoprire di pericolosi strati
ghiacciati crepacci e orli d’abissi formando insidie mortali.
Ma era solo il Vento, non aveva più moglie, un giorno lei era precipitata
dalle nuvole in mare e non era mai più riemersa. C’era chi diceva che il
re del mare ne avesse fatto la sua regina, ma la verità sul suo destino
non si seppe mai.
Ora, però, il Vento sentiva il bisogno di trovare una compagna da portare
con sé nel suo perenne girovagare, e fu così che quella notte magica
espresse il desiderio di trovarla.
Cominciò, allora, a cercarla, finché, soffiando fra cielo e terra, un
giorno s’imbatté in una creatura dolce e delicata che danzava
leggiadramente su se stessa insieme alle sue sorelle, tra le quali
spiccava per grazia ed eleganza: era una tenera Foglia. Avrebbe potuto
essere la sua sposa ideale. Il Vento già immaginava l’unione fra loro come
un’eterna danza, fra volteggi e piroette ora lievi ora appassionate, tra
vortici e mulinelli…ma non aveva il coraggio di dichiararsi per paura di
un rifiuto, troppo diversi erano i loro mondi, tuttavia continuava ad
osservarla, spingendosi spesso fra il fogliame per spiarla nascostamente,
e sempre la vedeva danzare felice con le sue sorelle, verso le quali si
mostrava buona e amorevole.
Ora era il mese di novembre. Le foglie degli alberi avevano cambiato
colore. Alcune erano gialle, altre rossicce, altre marroni, altre dorate. Leggere si
staccavano dai rami, volteggiavano un poco nell’aria, poi pian pianino
discendevano a terra come una pioggia di stanche farfalle, formavano un
tappeto e andavano a morire sulla terra avvolta da un fitto velo di nebbia
che rubava i colori ad ogni cosa. I fiori gentili avevano perso la loro
chioma colorata, gli uccellini erano volati via, le formiche si erano
nascoste nei loro formicai, gli scoiattoli si erano chiusi nelle loro
tane. Tra poco anche lui si sarebbe allontanato, era quasi sul punto di
abbandonare la Terra, quand’ecco che, un mormorio sommesso, come un
lontano scrosciare d’acqua, attrasse la sua attenzione. Identificò subito
la direzione del timido lamento: lì, sotto un tiglio ormai spoglio, fra le
morte foglie, c’era una foglia che ancora palpitava. La riconobbe subito:
era quella che aveva spiato in tutti quei mesi. Con voce rassicurante le chiese
perché piangesse e lei lo accusò:
-Sei tu la causa del mio male!-
Il Vento un poco si stupì, ma poi incalzò:
-Perché dici questo? Come posso aver causato la tua pena, proprio io
che da tempo ti osservo innamorato?-
-Sei stato tu a trascinare me e le mie sorelle lontane dal nostro ramo,
dove eravamo felici, al riparo dalle sue ombrose fronde. Vedi come sono
ridotte? Rinsecchite, accartocciate, già senza vita, e fra poco anch’io
seguirò lo stesso destino, per colpa tua.-
-Mi dispiace- rispose il Vento- non è nella mia volontà, ma nella
mia natura spirare di continuo e in ogni direzione: così è stabilito. Non
voglio che tu segua lo stesso destino delle tue compagne, non ti lascerò
morire. Da tempo io ti osservo, colpito dalla tua bellezza e dalla tua
bontà, ma non osavo avvicinarti. Se accetterai di diventare la mia sposa
ti porterò sempre con me ovunque andrò, mai ti lascerò toccare il suolo.
Ti mostrerò boschi, vallate, fiumi, laghi, dolci declivi e possenti
montagne, ti porterò fino al mare: vedrai come sarà bello librarsi in
libertà, non te ne pentirai. Pur se lontana dal tuo ramo, sarai felice
ancora.-
La Foglia fissò con i suoi bei occhioni verdi il Vento e si convinse
dell’autenticità del suo sentimento. Allora, dopo aver rivolto un ultimo
sguardo alle sue sorelle ormai prive di vita, asciugò le lacrime e gli
rispose:
-E sia. Sarò la sposa del Vento!-
Allora il Vento con un tenero soffio la spinse fra le sue braccia e
stretti l’uno all’altro si allontanarono, mentre nel cielo rosato l’alba
si ridestava.