Letizia Lanza
L'ultimo viaggio
recensione
Esce,
cattivante già nella veste grafica, la nuova silloge poetica di Francesca
Santucci, esperta di scrittura femminile (in particolare di Emily,
Charlotte, Anne Brontë) e già presente sulla scena letteraria italiana con
una pregevole raccolta (La vana attesa, 2000).
Certamente un librino di pregio, L'ultimo viaggio santucciano, tanto
da giustificare l'attenzione – e le lodi – degli interventi prefatòri,
tutti assai centrati. Così, in particolare, senz'altro condivisibili
sembrano le considerazioni di Piergiorgio Cavallini – filologo romanzo e
traduttore – sulla «forma di queste liriche. Se il versificare è moderno,
"franco dai rudi vincoli del metro e della forma", per usare parole
d'Arrigo Boito – che non rifugge dall'asindeto (ché già
lanceolati/dorati tralci avviticchiati/ossigeno annaspanti infioravano;
cupo precipizio/persi la rotta mi smarrii vagai/fluttuai nel sonno. Indi
albeggiò/netti i contorni, nitide le sagome/illuminò/delineò il
chiarore,/) – l'ornatus è classico, con un uso sapiente delle figure: l'omoteleuto
(canarino/paglierino, lanceolati/dorati tralci avviticchiati); la climax
(L'inattesa bufera s'abbatté, sradicò,/schiantò, svelse, divelse,
seminò/la distruzione; mi smarrii vagai/fluttuai nel sonno); la
paronomasia (contro il plumbeo cielo il vólto vòlto; more/amore; le more
non amare con omografo che amare); la dittologia (brama ed agogna; la
notte che più non rabbuia/e non annotta; attonito ristette/e sbalordì;
battimi e percuotimi,/sferzami e scudisciami); il chiasmo (Chiede colore
al sole, alla luna calore chiede); l'anafora (e allora
m'ameresti,/sì, allora m'ameresti; t'involeresti ancóra/e ancóra… ancóra…
ancóra… )» (p. 6).
Nato all'insegna di Elizabeth Barrett Browning (da cui è tratta
l'epigrafe d'apertura – «quando manca la luce, rimane a splender
l'amore», p. 13)", vive in questo piccolo libro una poesia brillante
ed efficace; potente e magistrale; che sa intuire le cose in sé, così da
svelare taluni aspetti della realtà e animarli di vita più intensa. Versi
che si sgranano densi e armoniosi, dietro e dentro i quali si agita la
lenta, sofferta conquista della parola femminile nell'arco dei secoli; la
liberazione dal silenzio a lungo imposto; il misconosciuto (dagli uomini)
retaggio delle donne di genio: di quelle – poche – che hanno potuto/saputo
esprimersi e delle tante, tantissime, rimaste vittime della cancellazione.
Qui, infatti, fortissima è la cifra femminile – improntando sopra tutto le
figure di donne mitiche: penso in particolare a Furia d'amore (ove, come
di consueto, gli enjambement si sprecano): «Fedra ha furia d'amore.
Colpevole / in passione, di Teseo sposa / lui non ama: brama ed agogna /
Ippolito suo figlio, e ad ogni sospiro / accresce furia ed amore. Spietato
/ il suo destino, crudele il fato! / Sola nel pianto, ossessa, in
disperata / ricerca vana di felicità, dapprima / solitudine, poi, ritrova
morte» (p. 16). Oppure penso a Il perduto amore, ove l'immagine della
Sirena sovrasta quella di Odisseo – ingessato stereotipo della superiorità
eroica e maschile: «Avviluppato, Ulisse, al tronco della nave saldo, /
sordo ai richiami, contro il plumbeo cielo il vólto vòlto, / gli
occhi neri di brace serrati ostinati, la voce e il canto / e le preghiere
finalmente udì, echi distinti tra fragori / roboanti d'onde torbide e
fangose. Parlò la sirena, / lenta all'acque sillabò e al cielo e alle
lontane terre: / "Parthenope, io fui, prima di sprofondare, / a te il mio
cuore offersi, non dimenticare!" / E il capo reclinò, e il mare su di sé
richiuse / e allora il capitano i lacci sciolse e attonito ristette / e
sbalordì, fisso lo sguardo vacuo al tumulo / marino, sigillo eterno del
perduto amore» (p. 21).
Un'accentuata impronta di femminilità, allora. Così come femminile è la
paura che percorre molti brani santucciani, coniugandosi per altro con il
desiderio e l'abbandono nei confronti del sentimento d'amore: basti
leggere La trappola: «Tu leone, io gazzella, vieni a me, / vieni a
me di sera, pensiero luminoso, / vieni a me di giorno, pensiero
silenzioso, / e il cuore mi ghermisci / e t'apri un varco e t'insinui
prepotente / ed ostinato scavi la lacerazione: / ed eccomi, inerme io
t'accolgo. / Avida ancóra ti suggerei parole, / infinite distanze da
distanze infinite, / e ascolterei rapita declamare i tuoi inganni, / per
ricadere di nuovo persa nelle tue fauci» (p. 27). O, ancora, Schiava:
«Non subirò – mi dissi – l'amore / amaro più non subirò, ma poi /
ancóra ai lacci i polsi, alla catena / il collo, docile e volontaria /
volentieri offersi. E consenziente / schiava mi scoprii dolce avvinta /
fra viluppi e legacci» (p. 32).
Un amore che travolge e spaesa, quello di Santucci, che lacera e addolora
– incontrollabile e violento (pur se talora tenero) qual è: «Vagavo
solitaria sulla spiaggia, / ignoto era a me stessa il desiderio, /
eppur'io t'aspettavo, vento di passione; / l'occhio bendato non vedeva, /
ma il cuore aveva già riconosciuto. / Avevo bisogno della sferza della
tempesta, / dello scudiscio dell'onda fragorosa, / che si sospinge, frange
/ e poi si scioglie in tiepida marea … / infine sei arrivato, come un
ciclone / violento. E allora ora battimi e percuotimi, / sferzami e
scudisciami, / lascia che forti senta i tuoi colpi / trasformarsi come
d'incanto / in carezze, gentili come un minuetto» (La tempesta, p.
24).
Un amore che arde e consuma, insomma. E, nella sua rapina, ritrova
echi disperati e stravolti nel mondo naturale: «Ineluttabile la stagione
muore travolgendo / nella ruina del precipizio anche l'innocente / stelo e
annaspando srotola in agonia, / lenta, senza emettere alcun lamento» (Ruina,
p. 22); «Rinserrato nella valva il frutto / pure si schiuderebbe per
lasciarsi / baciare dalla spuma del mare, / ma il risucchio avanza e la
travolge / e la sospinge e l'affonda, giù, / fino in fondo, nel buio dei
fondali» (Fino in fondo, p. 22). Non solo. Poiché talora il medesimo amore
sembra improntare di sé l'immenso cosmo: «Strani segnali manda / a volte
il cuore, alterne / intermittenze come di stella / che collassa: ultimo /
messaggio tra i lucori bianchi / degli astrali siderali spazi, / sos
sperso nell'Universo» (Segnali, p. 28).
Un amore che a volte dà gioia, certo: ma che – sopra tutto – tradisce
e abbandona, così da esporsi/esporre eternamente all'amarezza del
disinganno, alla cupa voragine della delusione. A un punto tale da
produrre – affetto acre e voluttuoso assieme – tetra una bramosia di
morte. Così, per esempio in Preghiera alle Moirai: «Tu Cloto e Lachesi ed
Atropo, / inflessibili Moirai sovrane di destini, / pure pietose foste. Vi
commosse / il canto d'Orfeo che lamentava / su Euridice, e Pelope giovane
ucciso / da Tantalo suo padre. Disperate / piangeste la morte d'Adone,
strenue / lottaste per restituire a Persefone / la figlia dall'Ade rapita.
Oh tu / che lo stame della vita intessi, / tu che la giusta sorte assegni,
tu / che l'ordito disfi, abbiate di me pietà, / implacabili il filo
recidete!» (p. 17). Oppure in Esplosiva mistura: «Succo prezioso,
nettare divino, / ambrosia vellutata da sorseggiare / adagio, a lungo, di
te avrei fatto estratto / da centellinare. E nei momenti / buî dello
sconforto, alchimia preziosa, / un veleno potente avrei disciolto. /
Esplosiva mistura berti: per te di te morire» (p. 30). Ovvero, ancora, in
Momento perfetto: «Reclinato il capo sulla spalla / tesa il sangue a
scaturire / in lenta pena dalla bluastra vena / del braccio in distensione
/ osserverei, calma tranquillità, / fluire via la vita dalla scena: /
momento perfetto! (p. 36)
Senz'altro convincente, allora, Giuseppe Risica, quando afferma che il
viaggio santucciano dell'amore/nell'amore è «l'ultimo» perché senza
ritorno – e perciò turbevole, spaurante al massimo. Ciò non ostante
esso rimane, per l'autrice, «l'obiettivo finale da centrare, la meta
definitiva da raggiungere, la ragione ultima e più vera della presenza in
questo mondo difficile, la sola, probabilmente, per cui valga la pena di
vivere e lottare» (p. 10). Una ragione ostinata e possente, che pervade
questo minuscolo libro, non esente talora da virtuosismi consapevoli e,
perché no? ostentati, ma pur sempre talentuoso e finissimo: un prodotto di
cui l'autrice può ben andare orgogliosa!