Marinella Fiume
“L'ultimo viaggio”,
recente fatica poetica di Francesca Santucci,
tra eroine del Mito
e contraddittorie donne del nostro tempo
Tornata dal lavoro,
ho appena il tempo di posare la cartella zeppa di libri e dei compiti dei
miei allievi che il postino mi recapita un pacchetto. Lo apro con l’ansia
dei bambini che scartano la carta da regalo che avvolge un misterioso
oggetto avuto in dono e ho tra le mani il delizioso volumetto “L'ultimo
viaggio”, che reca in copertina una intensa immagine del pittore F.
Leighton, edito per i tipi de “Il Foglio” di Piombino, uscito solo un mese
fa. Non resisto alla voglia di leggere, lascio in asso i preparativi del
pranzo e mi getto a capofitto nella lettura. Invano mi chiamano dalla sala
da pranzo… Resto avvinta alle composizioni in versi della recente silloge
della poetessa, scrittrice e critica letteraria, di origine napoletana,
ma bergamasca d’adozione, Francesca Santucci. Avvinta e irretita nel suo
universo emozionale.
La raccolta si inserisce all’interno di un filone poetico di lunga
durata che è il tema del viaggio. Si tratta, infatti, di un percorso
introspettivo nei sentieri dell’anima scandito su un concetto di tempo che
non conosce la linearità di quello storico e procede e si sviluppa a
spirale tra le pause e le soste, i ritorni (“nòstoi”) e l’inquieto andare
delle emozioni e delle intermittenze del cuore, verso una meta che
occhieggia e scompare, si offre e si nega, ora è vissuta ora è solo
sognata, ma sempre guida la ricerca e addita la strada, l’Amore,
nell’accezione, direi, filosofica del termine, perché è in esso l’origine
di ogni esperienza e conoscenza, di ogni umano progresso, della civiltà e
della vita stessa. Perciò mi piace definire il libretto una sorte di “De
Amore” visto con occhi di donna.
Il poeta, si sa, canta per tutti, uomini e donne, perché canta sentimenti
eterni e universali, ma, all’interno di temi, ispirazioni, valori, c’è uno
specifico femminile, come c’è uno specifico femminile del viaggio,
dell’amore, dell’espressione poetica. Perciò, in questa ricerca
filosofica sul sentimento amoroso, la poetessa si misura e si confronta
con le altre donne, con le poetesse e le donne del passato, d’ascendenza
classica o moderna, che costituiscono insieme il sostrato culturale ed
esistenziale del suo percorso. Eroine del mito, della storia, della
letteratura, eroine dell’amore: Euridice, Fedra, Parthenope, Psiche… Ma
anche contradditorie donne contemporanee, come l’Autrice stessa, in
pericoloso bilico tra desiderio di libertà e bisogno di dipendenza
amorosa, tra volontà di autoderminazione e bisogno di dare e ricevere
amore, tra desiderio di felicità e accettazione di sofferenza, tra voli
sublimi nei cieli dell’ideale e mortificante “terreneità”, tra speranze e
disinganni.
Troppo facile, per un’Autrice dalla grande memoria poetica come la
Santucci e, di più, nella trattazione poetica di un tema sì universale e
di sì vasta portata letteraria, contrarre “debiti” con la grande poesia,
né nega tali debiti l’Autrice, chè anzi si compiace a suggerirli ed
evocarli, come dimostrano gli ampi riferimenti intertestuali alla grande
poesia: Omero, Catullo, Ovidio, Leopardi, Di Giacomo…
In uno stile elegante e a volte ricercato, sintesi di armonia classica e
inquietudine moderna, la poesia della Santucci rovescia il tòpos epico del
viaggio di Ulisse e rammenta all’eroe omerico, all’uomo di ogni tempo, le
sofferenze dell’amore negato, le gioie dell’amore donato, le nostalgie
dell’amore perduto. Perché, malgrado tutto, vale più d’ogni altra cosa
amare.
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