Nota dell'autrice

 

Io la ricordo ancora mia madre...

La rivedo con gli occhi

della mente.

Era bella, non come aurora o meriggio,

ma come tramonto di primavera.

Giovanni Segantini

 

 

Non so se sia una sorta di paura ancestrale insita nella "natura umana”, comune a tutti, come la paura in generale della morte, o del buio, o del fuoco, o degli spazi chiusi, ma so che  sin da bambina, confusamente covata e repressa, l’avevo dentro di me: quella di  perdere mia madre.
E quando, poi, il timore si concretizzò, quando l’evento luttuoso tanto temuto (e tanto scacciato ogni volta che, pensiero molesto, appariva nella mente) si presentò (inatteso, brusco, repentino, improvviso come un’improvvisa raffica di vento), fu come precipitare di colpo in un abisso.
Schiava del dolore, fu, quello, il tempo della disperazione, dello smarrimento, della confusione, della tenebra, della follia, quasi dell’incapacità di continuare ad assolvere nel modo consueto le funzioni vitali (mangiare, camminare, dormire, sorridere, relazionarmi agli altri).
Come ritornata di nuovo bambina, dovetti reimparare a vivere, ma stavolta da sola, senza l’aiuto di chi la vita me l’aveva data, senza mia madre, distaccando da lei tutti gli avvenimenti legati alla sua presenza, di cui aveva sempre fatto intimamente parte, festività importanti, ricorrenze personali: il primo Natale, il primo Capodanno, la prima Pasqua, e poi il mio primo compleanno, il mio primo onomastico, il suo primo compleanno, il suo primo onomastico, tutto, ora, senza lei.
E ad ogni evento “celebrato” senza lei, ad ogni momento vissuto da orfana, si rinnovò (si rinnova) la sua morte, ed insieme la rabbia per il prematuro, ingiusto, incomprensibile, strappo,  ed il dolore, mai guarito dal tempo, che mai guarirà col tempo, che resterà in silenzio ma in profondità, continuando ad amarla nel dolore dell’assenza così come l’ho amata nella gioia della presenza, perché l’amore non conosce la morte, l’amore è più forte della morte, l’amore è per sempre.
Un tempo io fui nel ventre di mia madre (minuscola sua parte d’immortalità), ora è come se lei, nelle mie parole (minuscola mia parte d’immortalità) fosse nel mio; attraverso la scrittura (la poesia […] ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, come l’immensità della morte è una catarsi della vita, A. Pozzi), balsamo consolatorio, disciolgo l’eterno grumo di dolore e perpetuo l’inscindibile legame che continua ad unirmi a lei oltre ogni barriera: per sempre Madrefiglia.

Francesca Santucci

 

 

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