Giuseppe Risica
PREFAZIONE A “MESSAGGI DALL’ANTICHITA’ ” DI FRANCESCA SANTUCCI

Francesca
Santucci, donna di profonda cultura umanistica, poetessa, scrittrice e
saggista assai apprezzata nel panorama nazionale (e non solo), ci offre,
con questa nuova opera, un’ulteriore dimostrazione (se mai ce ne fosse
bisogno) delle sue proteiformi capacità letterarie che rappresentano il
naturale completamento di uno smisurato amore per l’arte della scrittura.
La Santucci, costantemente attratta dal fascino particolare che appartiene
al passato, con quelle innegabili, molteplici, sfavillanti sfaccettature
che lo rendono misterioso ed importante insieme, propone all’attenzione
del lettore un percorso tra le pieghe di un mondo lontano che, però,
riverbera emozioni e verità straordinariamente attuali.
Come d’incanto, la penna dell’autrice si trasforma in una sorta di
bacchetta magica e fa rivivere, al nostro sguardo stupito, atmosfere
d’incredibile impatto emotivo, diradando prepotentemente i nebbiosi sipari
che offuscano situazioni, eventi, vicende, luoghi meritevoli, per il loro
elevato significato, di esplicativa chiarezza.
Eccoci, così, in volo nei regni dell’antica Roma, figlia prediletta della
grande madre Grecia, ad esplorarne aspetti fondamentali, da quelli solo
apparentemente più frivoli (come la toletta) a quelli sociali
(l’istruzione e l’educazione, il matrimonio, il culto dei morti)
maggiormente espressivi di una civiltà che ha lasciato tracce
profondissime, pur nelle sue naturali contraddizioni.
Non manca il gustoso richiamo all’elemento magico, intimamente radicato
nell’uomo e tuttora presente, lo si voglia o no, nella nostra coscienza
individuale e collettiva.
Quanto avvincente lirismo, poi, nei capitoli dedicati a due figure
poetiche basilari nella storia dell’Ars Poetica, Ovidio e Catullo,
maestri indiscussi nella manifestazione letteraria del sentimento per
eccellenza, l’amore.
L’amore (per passione o per calcolo che sia), argomento frequentemente
privilegiato dalla Santucci nei suoi scritti, si palesa, ancora, nello
scorrere lieve delle pagine, in tutta la sua immancabile (oserei dire
necessaria) componente tragica, grazie all’avvincente narrazione che
conduce alla riscoperta di romantiche figure, consegnate all’immortalità,
fonte d’ispirazione per schiere d’artisti, come quelle di Leandro ed Ero,
Didone ed Enea, Giuditta ed Oloferne.
Al dramma totale, che non risparmia i vivi e nemmeno le cose, appartiene,
invece, il capitolo che parla di Pompei, inghiottita dal fiato rovente del
Vesuvio insieme ai pensieri, le paure, le speranze dei suoi ignari
abitanti.
Particolarmente interessante la sezione riservata ad una figura mistica e
di eccezionale influenza per il genere umano, quella di Gesù Cristo, il
cui messaggio (che, dopo oltre duemila anni, mantiene intatta la sua
straordinaria essenza) ha toccato le coscienze, elevato la spiritualità,
spinto alla trascendenza, nel progetto universale di un’umanità tesa alla
pace, alla fratellanza, all’assoluto del divino.
E’, insomma, questo “Messaggi dall’antichità”, un libro d’ampio respiro
che, in pratica, non è possibile catalogare con esattezza, perché tra le
sue pagine aleggiano, in eguale misura, l’armonia della poesia, la
seduzione del mito, la meticolosità del documentario, la fluidità della
narrativa, l’approfondimento psicologico della filosofia, la ricerca
dell’oltre della religione.
Un testo chiaro, ricco di citazioni e note esplicative, nel rispetto di
quel patrimonio di tradizioni che non bisogna disperdere, facendone un
sicuro punto di partenza da cui volgere, con fiducia ed entusiasmo, lo
sguardo verso il futuro.
Il tutto adoperando uno stile, oltre che formalmente ineccepibile,
accattivante e d’immediata fruibilità (cosa nient’affatto facile) che,
peraltro, rende la pubblicazione sicuramente godibile ad una gamma quanto
mai ampia di lettori.
Un’operazione culturale, dunque, certamente riuscita, questa di Francesca
Santucci, tesa a stimolare la gioia di conoscere e di esplorare
ulteriormente gli infiniti aspetti che il “viaggio” ci ha, finora,
riservato e, di continuo, ancora, ci propone.
La fiaccola è accesa, seguiamo le vivide scie della sua luce, tutto quello
che riusciremo a donare alle nostre percezioni, carpendolo alle mani
adunche dell’oblio, costituirà una ricompensa dal valore inestimabile.
Giuseppe
Risica
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