Francesca Santucci

 

"Passione d'amore" di Ettore Scola

 

 (dall'antologia AA.VV., Lo specchio dipinto: Ettore Scola e dintorni, a cura di Paola Dei, Falsopiano  2016)

 

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Uno dei romanzi tra i più significativi della Scapigliatura, primo movimento culturale dell’Italia unita, fu  "Fosca", dello scrittore monferrino Iginio Ugo Tarchetti,  lasciato incompiuto dall’autore prematuramente mancato e terminato dall’amico fraterno Salvatore Farina.
Il romanzo fu  ispirato da due vicende sentimentali realmente vissute da Tarchetti, quella “sana”, luminosa, felice e appagante,
durata sette mesi, con una signora milanese, e quella, successiva, “malata”,  tenebrosa,  con una certa Carolina, o Angiolina, parente d’un suo superiore,  incontrata nel novembre 1865 a Parma,  quando prestava servizio nel commissariato militare, prima di abbandonarlo per vivere la sua esistenza libera e votata alla scrittura giornalistica e letteraria.
Epilettica, prossima alla morte, orribilmente brutta, di bello la donna di Parma aveva gli occhi grandi e scuri e le trecce del colore dell’ebano; con lei lo scrittore intrattenne una relazione che provocò un grande scandalo, causa non estranea alle sue dimissioni dall’esercito. È lo stesso Tarchetti a testimoniare l’esistenza di questa donna in una lettera scritta
da Parma a un amico:

Per altro lato soffro le torture dell'inferno. Appena giunto qui quella sera, trovai quella signora che mi attendeva a braccio del medico. Quell'infelice mi ama perdutamente, è impossibile dirti tutto; il medico mi disse che morrà al più tardi fra sei od otto mesi. Ciò mi lacera l'anima, vorrei consolarla e non ho il coraggio, vorrei abbellire d'una misera e fuggevole felicità i suoi ultimi giorni, e v'ha la natura che mi respinge da lei. Ieri eravamo seduti discorrendo; passò sulla via un feretro, essa si portò le mani al viso e fuggì piangendo dirottamente. Presente il suo fine. Più tardi mi si avviticchiò al collo e mi disse, baciandomi convulsivamente:
- Sì, perdona tutto prima di morire!
1

Tarchetti fu, poi, trasferito da Parma a Milano, dove si dedicò intensamente all’attività letteraria, fra croniche difficoltà economiche e precarie condizioni di salute, morendo, il 25 marzo 1869, non ancora trentenne, già ammalato di tisi, per un attacco di tifo, in casa dell'amico Salvatore Farina che lo aveva ospitato, senza aver scritto il capitolo finale del romanzo al quale tanto teneva, che avrebbe dovuto essere: una notte di falso amore fra la protagonista brutta ed isterica e il maschio bello ed isterico anch'esso; lei stimolata dalla carne inferma, lui percosso dall'abbandono dell'amor suo vero. 2 […] scena dolorosa, selvaggia, d'una notte intera passata con la protagonista isterica  e brutta, a fìngere l'amore, a costringere la repugnanza a non ribellarsi, ad accettare il delirio dei sensi e a corrispondere, ubbriaco di pena lui, essa sola pazza d'amore. 3  

Per strano destino la donna che aveva ispirato il libro, prossima alla fine, sopravvisse allo scrittore, ed ogni anno, nel giorno dei morti, non mancò mai di far arrivare sulla sua tomba una corona di semprevivi.
Nel romanzo “Fosca” confluirono entrambe le relazioni sentimentali, ma, come si evince già dal titolo, fu la seconda l’esperienza più intensa della vita di Tarchetti, ed infatti la trama ruota tutta intorno al folle sentimento nutrito per Giorgio (giovane ufficiale che ama, riamato, Clara, bella, sana e sposata, dalla quale è costretto a separarsi in seguito ad un trasferimento) da Fosca, intelligente, sensibile, colta (divora i libri, è un tarlo da libri, legge come noi fumiamoun’intelligenza robusta, fina, perspicace.),
4 ma epilettica, isterica, anoressica (è della voracità di una mosca.)5 e, soprattutto, brutta:

Dio! Come esprimere colle parole la bruttezza orrenda di quella donna!… Né tanto era brutta per difetti di natura, per disarmonie di fattezze… quanto per una magrezza eccessiva… per la rovina che il dolore fisico e le malattie avevano prodotto sulla sua persona ancora così giovine. Un lieve sforzo d’immaginazione poteva lasciarne travedere lo scheletro, gli zigomi e le ossa delle tempie avevano una sporgenza spaventosa, l’esiguità del suo collo formava un contrasto vivissimo colla grossezza della sua testa, di cui un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non vidi mai in altra donna, aumentava ancora la sproporzione… La sua persona era alta e giusta… i suoi modi erano naturalmente dolci… Tutta la sua orribilità era nel suo viso.6

Fosca è consapevole che la sua bruttezza non può suscitare amore o passione, eppure, caparbia e tenace, rivendica il suo diritto all’amore, non esitando a trascinare se stessa e l’uomo che ama verso la distruzione pur di affermarlo: infatti Giorgio soccomberà alla sua ossessione amorosa, innamorandosi di lei, ma la relazione sarà scoperta dal cugino, superiore di Giorgio, che lo sfiderà in duello. Infine Fosca morirà e Giorgio si ammalerà dello stesso male oscuro della donna.
Questo romanzo, che colpisce ancora oggi per l’intrico di sentimenti, per la violenza della passione, per il tema degli opposti (bello/brutto, sano/malato, amore/morte), per la forte componente autobiografica (le storie vissute dall’autore con la signora di Milano e la donna di Parma), di sorprendente modernità per l’indagine fra normalità e anormalità e per la forte rivendicazione della protagonista al diritto di amare, affascinò anche il regista Ettore Scola.
I
ndiscusso protagonista del cinema e della cultura del nostro paese, artista e intellettuale intelligente, acuto e ironico, capace di cogliere le debolezze e gli snobismi degli Italiani, Scola, recuperando una sua vena più intimistica, lontana dalla commedia (abbandonando le tematiche contemporanee per immergersi nel cupo dramma decadente di un uomo che cede, fino alla rovina sociale e fisica, all’amore di una donna dall’aspetto repulsivo, eppure misteriosamente attraente)7 affrontò per la prima volta un film in costume ispirandosi, appunto, al romanzo di Tarchetti (tenendone ben presente anche l’epistolario e il romanzo antimilitarista “Una nobile follia”), realizzando nel 1981, in coproduzione Italia- Francia, con le musiche di Armando Trovajoli, il film "Passione d'amore".
Spostando la scena da Milano (com’era nella
finzione letteraria), a Torino, girò le riprese nella città e nel parco de La Mandria, a Venaria Reale, riuscendo pienamente a ricreare, con grande suggestione, l’atmosfera romantica di metà Ottocento, ambientando l’azione in un paesaggio indefinito del nord Italia, ai piedi delle Alpi, fra monti e boschi, dove, in uno sperduto presidio militare, i personaggi (che si esprimono nell’inconfondibile accento piemontese) indossano costumi e divise dell’epoca, pensano ed agiscono secondo gli schemi legati all'Italia del tempo, ma sono guidati da idee e passioni contemporanee, narrando, come sempre prediligeva fare, più le vicende degli umiliati e dei diversi che quelle dei privilegiati.
È in questo contesto, fra le foschie del paesaggio disseminato di rovine e l’immobilità e le consuetudini della vita di guarnigione, che Scola lascia consumare il dramma dell’orribile Fosca che riesce ad affascinare il bel
capitano e a scatenare un groviglio di sentimenti che condurrà al tragico finale.
Il regista seguì fedelmente la trama del romanzo, narrando di Giorgio Bacchetti,
militare di carriera, che, costretto ad interrompere la relazione con la bella e sana Clara per raggiungere un lontano presidio di frontiera dell'Italia postunitaria del 1862 (specchio della reale vicenda dello scrittore, che fu mandato nel profondo sud per la repressione del brigantaggio nell'Italia meridionale), incontra Fosca, cugina del colonnello comandante della guarnigione, donna ipersensibile, dotata di un'acuta sensibilità e di una raffinata cultura, ma  isterica, epilettica, dal ripugnante aspetto, conscia della propria bruttezza, eppure avida d’amore, in passato sposata (senz’aver mai consumato il matrimonio) con  un cacciatore di dote, imbroglione, giocatore e ricattatore.
Giorgio non incontra subito Fosca,  comincia  a conoscerla  dall’assenza (il suo posto vuoto alla tavola degli ufficiali, occupato soltanto, come narra il colonnello quando lo  invita a pranzare in casa sua
, quando il male le concede qualche  pausa),  dalla  musica che lei suona al piano e che gli arriva come un richiamo, e poi dalle urla, scatenate dalle convulsioni nervose. Infine Fosca si mostra, ed è subito attratta dal bel capitano, riconosce in lui un’anima sensibile, diversa da quella degli altri militari, e non manca occasione per manifestargli la sua simpatia.
Anche Giorgio, dopo l’iniziale ripugnanza, subisce il fascino oscuro della donna, tanto che passerà dallo stupore al
ribrezzo, dalla pietà all’ammirazione, e poi all’amore. Successivamente la simpatia che Fosca nutre per Giorgio si trasforma in amore ossessivo e tormentoso, tanto che, come rinvigorita dal suo male,  trova il coraggio di confessare il suo sentimento  all’uomo, che, al contrario,  si sente deperire e avvicinare alla morte. Oppresso, tormentato, soggiogato ma turbato, cerca di allontanarsi da Fosca, chiede e ottiene una licenza che passa in compagnia di Clara e, quando ritorna alla guarnigione, cerca di riportare la situazione creatasi con Fosca in un alveo di normalità, promettendole affetto e amicizia sincera, ma lei pretende l’amore: se non l’otterrà si lascerà morire.
L’ufficiale
medico della guarnigione, che segue la giovane ed è divenuto amico di Giorgio, gli suggerisce di essere caritatevole verso quella donna condannata a morire molto presto, fingendosi innamorato. Seppur riluttante, accetta, ma lo strano rapporto che s’instaurerà fra i due consumerà Giorgio anche psichicamente, trascinandolo verso il delirio.  Quando il medico si renderà conto che la sanità di Giorgio è seriamente in pericolo, gli consiglierà di allontanarsi dalla guarnigione, ma sarà troppo tardi: irresistibilmente attratto da Fosca, Giorgio gli comunica che d'ora in poi si dedicherà soltanto a lei. Allora il medico, sentendosi responsabile di quanto sta accadendo, farà in modo di ottenere per Giorgio il trasferimento. La notizia del trasferimento arriverà il giorno di Natale, provocando il dolore e il risentimento di Fosca (che, gridando il suo amore a tutti i presenti, si aggrapperà a lui, implorandolo di non abbandonarla) e l’ira del colonnello suo cugino, ignaro e allibito, che sfiderà a duello per l’indomani Giorgio, già incupito e emotivamente distrutto.
Durante la notte, pur sapendo che sarà un’emozione fatale per Fosca, di sua volontà Giorgio s’introduce nella sua camera e consuma con lei l'amore.

Fosca soltanto aveva meritato il mio amore, ella sola mi aveva amato, ella che aveva sfidato il ridicolo, il disprezzo, la collera, ella che aveva rinunziato al suo orgoglio di donna, domandando per pietà ciò che le altre danno per debolezza, per vanità o per vizio. 8

Il duello ha luogo. Giorgio ferisce, non mortalmente, il colonnello, ma il suo grido di vittoria, prima di svenire fra le braccia del dottore,  suona  innaturale e lugubre come quello di Fosca quando è assalita dalle sue crisi: il suo male sembra essersi trasferito in Giorgio. E proprio di contagio sembra trattarsi, poiché, una volta morta Fosca, il male che l’aveva accompagnata si trasferisce come per osmosi nel corpo di Giorgio che, similmente a lei, diviene creatura solitaria e incompresa, continuando, nel suo nuovo stato di “malato”, a sentire la presenza dell’amata.
Nella scena finale del film, all'angolo di una taverna malfamata, dopo cinque anni, è lo stesso Giorgio, provato nell’anima e nel corpo, a  raccontare l'epilogo della sua strana "passione d'amore" (conclusasi con la morte “felice” di Fosca tre giorni dopo il duello) ad un nano storpio
dalla folta barba che, dopo aver ascoltato la storia, scettico e sarcastico, si allontana sghignazzando, ripetendo ad alta voce che la giuliva storia fra Giorgia e Fosca è una storia assurda, perché una donna brutta non può essere amata.
Ciò che al regista piacque sottolineare in “Passione damore”, il primo film nel quale abbandonava  le ambientazioni e la varia umanità della commedia, furono  soprattutto gli aspetti psicologici della storia (che lo scrittore tanto aveva esaltato e che ben esplorarono, poi, Freud e Jung)  gli effetti della passione estrema sui due protagonisti e, elementi di sorprendente modernità del romanzo, il tema degli opposti e della diversità, della normalità/anormalità, bello/brutto, bene/male, nel confronto tra le due donne Clara/Fosca, non tralasciando, però, le suggestioni gotiche tante care all'autore, soprattutto nella descrizione del delirio di Giorgio, inizialmente "normale", nel finale della vicenda irrimediabilmente contagiato dalla "anormalità" di Fosca.
Da questa  vicenda, che altrove sarebbe stata avvolta da tetri banchi di nebbia, brividi agghiaccianti, funerei presagi, incubi ossessivi,9  Scola seppe realizzare un film elegante e misurato, improntata ad  un realistico buon senso, lasciando snodare lenta la storia psicologica del sentimento che diviene passione d'amore autodistruttiva, anche con un montaggio piano del film organizzato in  numerosi piani-sequenza, in modo da non attuare mai bruschi passaggi di scene per non interrompere la narrazione.
Di grande importanza fu anche  l’apporto del cast italo-francese costituito per lo più da attori famosi. Nel ruolo dell'ufficiale medico Scola chiamò Jean-Louis Trintignant, nome già noto allora in Italia per aver recitato nel 1962 con Vittorio Gassman nel road-movie all’italiana, “Il sorpasso”  di Dino Risi  e nel film del 1970 “Il conformista” di Bernardo Bertolucci. Per il ruolo  del colonnello cugino di Fosca volle Massimo Girotti, divo del cinema italiano prima e dopo la guerra, interprete dei più disparati ruoli diretto dai maggiori registi del tempo, e per quello del maggiore Bernard Blier, incisivo caratterista. Ad interpretare la soave Clara scelse la bellissima Laura Antonelli,
 all’apice del successo proprio fra gli anni settanta e ottanta, spaziando  dalla commedia leggera erotica al dramma, dal cinema d'evasione  al film d'autore. Il ruolo del  protagonista lo affidò al bellissimo Bernard Giradeau, splendido attore e regista molto famoso negli anni ottanta, nei cui occhi colore del mare fluttuarono con grande intensità tutti gli stati d’animo del capitano Giorgio Bacchetti: lo stupore, lo smarrimento, lo sconcerto, la vaga inquietudine,  lo sgomento, l’orrore, l’amore, il delirio, lo sconforto. Per Fosca volle  la straordinaria  Valeria d’Obici, attrice d’indubbia bravura, in anni più recenti attiva in  molte interessanti interpretazioni con Pupi Avati, Liliana Cavani e Gabriele Muccino, in “Passione d’amore”   all’esordio in un ruolo  importante, sgradevole, rischioso,  dopo aver recitato sino ad allora prevalentemente in pellicole di genere poliziesco, trovando poco spazio nel cinema per i tratti particolarmente spigolosi del volto.
Abilmente guidata dal regista, che la volle brutta per tutto il film, non concedendole neppure quell'istante magico che tocca a tutte le donne brutte nel cinema americano, 10 sapientemente imbruttita dal make-up del truccatore Otello Sisi (mi sono lasciata trasformare al trucco fino a rendermi persino inaccettabile a me stessa. Non mi sopportavo più esteticamente, ma ero completamente affascinata da un gioco nuovo, al quale non riuscivo a sfuggire) 11  seppe ammirevolmente imprimere il giusto pathos  all’eroina tarchettiana, senza mai caricare di orrido l’interpretazione, ma rendendo con grande intensità il carattere titanico della donna, che, pur soffrendo, non rinuncia al suo sogno d’amore ma lotta,  non soffoca le sue parole e i suoi sentimenti ma li urla, con il corpo e con l’anima, al mondo intero,  imponendosi e sopraffacendo con  il suo trasporto Giorgio, tanto da travalicare la “vendetta” della donna brutta sulle donne belle e convertire in rivolta esistenziale la lacerazione per la personale condizione di bruttezza, consapevole di avviarsi all’autodistruzione gratificante. Indimenticabile l’espressione del suo volto quando, discese le scale,  appare per la prima volta a Giorgio mostrandosi in tutta la sua orrida bruttezza,   e quando, colpita da una crisi isterica, dopo aver visto dalla sua finestra sfilare un corteo funebre, emette un lungo urlo e poi gemente si accascia sul pavimento prontamente soccorsa dalle cameriere che la portano via sotto lo sguardo interdetto di Giorgio.
In questo nuovo importante capitolo del suo percorso artistico premette a Scola continuare ad approfondire il discorso sulle diversità (anche se, stavolta, rispetto agli altri films, si tratta di diversità naturale) contro le leggi codificate degli uomini, contro le regole precostituite,  ma anche comunicare la relatività dei concetti di bello e brutto. Secondo le sue parole:

 […] chi è in armonia con il proprio corpo, secondo me, è sempre bello. Dai tempi di "Fosca", subito dopo l'unità d'Italia, è vero che le cose sono alquanto cambiate e la donna ha fatto molti passi avanti nella propria autonomia. Ma ha fatto passi avanti anche la spinta contraria, quella dei condizionamenti di massa. Io credo che apparentemente noi oggi accettiamo i diversi, i brutti, gli omosessuali, i poveri:in realtà, agiscono sempre le stesse ipocrisie. La mentalità è sempre quella arretrata che si trova nel presidio militare, dove Tarchetti ha svolto l'azione del suo racconto ed io quella del mio film: un luogo concreto che è anche, però, la metafora di una chiusura mentale che coincide con la casta militare. 12

“Passione d’amore” suscitò grande entusiasmo nei critici, e quando fu presentato in concorso nel maggio 1981  al 34º Festival di Cannes, dove Scola era già stato premiato quattro volte, la giuria gli conferì un premio speciale per il complesso della sua opera, riconoscimento già attribuito ad un altro grande regista italiano, Luchino Visconti, ma il film valse anche il David di Donatello come migliore attrice protagonista a Valeria D’Obici  per l’’intensa interpretazione di Fosca  e a Laura Antonelli come miglior attrice non protagonista. Nell'ottobre dello stesso anno “Passione d’amore” approdò a New York , dove non ottenne un grande riscontro dal pubblico, ma giudizi lusinghieri, e ancora oggi, dalla maggior parte dei critici italiani e internazionali, dopo “ Una giornata particolare,” viene considerato tra le opere migliori di Ettore Scola.

 

 

 

 

NOTE

1)      Da una nota di E. Ghidetti a Fosca, in Tutte le opere di Iginio Ugo Tarchetti, Cappelli 1967 p. 239.

2)      Salvatore Farina, Dall'alba al meriggio.

3)      Salvatore Farina, Care ombre.

4)      Iginio Ugo Tarchetti, Fosca, cap. XIV.

5)      Iginio Ugo Tarchetti, Fosca , cap. XIV.

6)      Iginio Ugo Tarchetti, Fosca, cap. XV.

7)      C. Bragaglia, Il piacere del racconto, La Nuova Italia, Firenze, 1993.

8)      Iginio Ugo Tarchetti, Fosca , cap. XLVIII.

9)      Mino Argentieri, Rinascita, 29 maggio 1981.

10)  Giuliano Muscio, Scena, n. 6-7 giugno-luglio 1981.

11)  V. D’Obici, la Repubblica, 12/8/1981.

12)   Pier Marco De Santi- Rossano Vittori, I films di Ettore Scola, Gremese editore, Roma 1987, pag. 146.

 

 

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