Francesca Santucci

 

QUE JE T'AIME

 

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 (dall'antologia
AA.VV.,  "Sette son le note", Alcheringa 2018)

 

Que je t'aime, que je t'aime, que je t'aime!

 

(Que je t'aime!, di Jean Renard e Gilles Thibaut)

 

Sergio era un tipo originale, alternativo, trasgressivo. Fisicamente non era bello; secco, capelli ricci, gote scavate butterate dall'acne. Indossava sempre camicie fiorate slacciate sul petto, jeans sdruciti, oppure pantaloni arancioni o rossi a vita bassa, corredati d'un pesante cinturone nero con le borchie, e ai piedi calzava immancabilmente stivaletti con tacco quadrato.
Sergio aveva abbandonato lo studio della chitarra classica per dedicarsi a quello della chitarra elettrica. Amava la musica pop e il suo idolo, prematuramente scomparso, era Jimi Hendrix.
Sergio non era gentile. Era cresciuto, figlio unico, con il padre finanziere, perch?a sua mamma, come quella di Jimi, era morta quando lui era ancora piccolo. Senza l?amore materno, privo del riferimento d'una sensibilit?femminile, era venuto su ruvido, perci?aveva modi bruschi.
Sergio d'estate andava alla spiaggia dei nudisti, e in giro si diceva che fosse dedito alle droghe e al sesso. All'epoca dei fatti aveva quasi diciotto anni e frequentava ancora le medie, perchè era stato ripetutamente bocciato, sia in prima che in seconda media; ora frequentava di nuovo la terza: si sperava per l' ultima volta, perchè proprio i professori, il preside, e pure i bidelli, erano stufi di vederlo sempre lì.
Sergio non amava lo studio, ma la musica, la moto e le ragazze.
Sergio era amico di Luigi, che gli aveva affidato l'incarico di tenere d'occhio sua sorella, adolescente, carina.
Luigi era mio fratello, sua sorella ero io, brava ragazza, ubbidiente in famiglia, studentessa modello, invaghita di poesia e musica francese, invaghita pure di Sergio, che frequentava la mia casa come "amico di famiglia".
Sergio mi scortava a scuola e mi riaccompagnava a casa, in disapprovazione di mio nonno che, scuotendo la testa, ripeteva:
- Bene non ?mettere l'acqua vicino al fuoco!- e aveva ragione il nonno!
Veniva a prendermi sotto casa col suo cocker fulvo, lo liberava dal guinzaglio, quello correva con le orecchie penzoloni al vento, poi lanciava un fischio (a me, non al cane!), io m'affacciavo, salutavo con la mano, urlavo Scendo subito, afferravo al volo i libri e andavo sorridente, con le lunghe trecce saltellanti sui seni acerbi. Durante tutto il tragitto, lui, il cane ed io, non dicevamo una parola, soltanto Bonjour!  (io, sorridente e contenta), By, baby! (lui, scostante e scontroso, perchè di mattina aveva sempre la luna di traverso, proprio non gli piaceva andare a scuola, e di gran lunga avrebbe preferito starsene a strimpellare la chitarra, oppure andare in giro senza meta, col suo cane o in sella alla sua moto, o a cercare di rimorchiar ragazze) e, siccome non gli andava di parlare, si esprimeva con le frasi in inglese (lingua che io detestavo, mentre impazzivo per quella francese) che aveva imparato dalle canzoni del suo idolo (io preferivo Johnny Hallyday).
Sergio usciva da scuola prima di me e m'aspettava; scendevo i gradini dell'edificio a quattro a quattro, gli correvo incontro sorridendo, le lunghe trecce saltellanti sul grembiule nero che cominciava a starmi stretto sui punti critici: stavo crescendo.
Stavo crescendo, ma Sergio non se ne accorgeva. Ero innamorata di Sergio, ma lui non mi considerava proprio, ero la sorella del suo amico, dunque per lui ero come una sorella.
Per strada, mentre mi riportava a casa, con voce roca, affatto melodiosa, ma di buonumore perchè finalmente, non pi?costretto nell' aula, stringendomi forte sottobraccio mi canticchiava una canzone sconclusionata che il suo Jimy aveva composto sotto l'effetto dell' acido: "
Love and confusion".
S'innamorava Sergio? Sergio aveva tante ragazze, ma non so dire se ogni volta le amasse, io, perchè  ero innamorata di lui, ma non ero semplicemente innamorata, ero innamorata pazza, e avevo in testa soltanto love and confusion, amore e confusione: amore perchè lo amavo, confusione perchè non sapevo come farmi amare
Come nel pezzo di Jimy avevo i pensieri in disordine, e il mio cuore bruciava di passione, e la mia testa era agitata, e girava e rigirava; questo provavo per lui, amore e confusione, ma, soprattutto, amore, e maggiormente mi esaltavo ogni volta che sentivo alla radio la canzone di Johnny Hallyday, "Que je t'aime", il cui ritornello ossessivo mi risuonava nella mente.

Quando i tuoi capelli si spargono
Come un sole estivo
E il tuo guanciale
Assomiglia ad un campo di grano

Quando l'ombra e la luce
Tracciano sul tuo corpo
Montagne e foreste
E isole del Tesoro

Quanto t'amo, quanto t'amo, quanto t' amo
Quanto t' amo, quanto t' amo, quanto t'amo

Quando la tua bocca si fa dolce
Quando il tuo corpo si fa duro
Quando il cielo negli occhi tuoi
Di colpo non ?pi?puro

Quando le tue mani vorrebbero tanto
Quando le tue dita non osano
Quando il tuo pudore dice di no
Con una vocina

Quanto t'amo, t'amo, t'amo,
Quanto t'amo, quanto t'amo, quanto t'amo

Quando non ti senti pi?gatta
E diventi cane
Ed hai il richiamo d'un lupo
Alla fine rompi le tue catene

Quando il tuo primo sospiro
Si risolve in un grido
Quando son io a dire di no
Quando sei tu a dire di si

Quanto t'amo, quanto t'amo, quanto t'amo
Quanto t'amo, quanto t'amo, quanto t'amo

Quando il mio corpo sul tuo corpo
Pesante come un cavallo morto
Non sa, non sa pi? se vive ancora

Quando si fa l'amore
Come altri fanno la guerra
Quando sono io il soldato
Che muore e quello che la perde

Quanto t'amo, quanto t'amo, quanto t'amo


Vedevo ovunque il volto di Sergio, scrivevo ovunque il suo nome; lo scrivevo col gessetto sulla lavagna di classe durante la ricreazione o mentre s'attendeva l'arrivo del professore, lo scrivevo sui miei quaderni e sui quaderni delle compagne di classe, lo scrivevo sul mio diario personale e sui diari delle mie compagne, lo scrivevo sui muri dei bagni della scuola, lo scrissi persino sul muro del mio e del suo palazzo.
Tutti sapevano, compagne, bidelli, professori (forse pure il preside e il vigile che smistava il traffico fuori dalla scuola), anche la mia mamma lo sapeva, ma Sergio non lo seppe mai, e nemmeno lo intuì e nemmeno mio fratello s'accorse del sentimento che mi divorava.
Un giorno mi suggerirono: Fallo ingelosire? Ma come? Con chi?
Scelsi un nome a caso fra i tanti di quelli che mi venivano dietro: Mauro.
Quel giorno ero proprio carina; avevo abbandonato il grembiule di scuola, e pure le trecce, lasciandomi i lunghi capelli liberi di fluire al vento fresco del primo mattino, indossavo una minigonna di pelle nera, un maglione bianco a collo alto, stivaloni in tinta lunghi fin sul ginocchio, ma non mi precipitai né sul balcone né alla finestra quando Sergio emise il consueto fischio, e nemmeno corsi giù per le scale, mi mossi lenta, lo raggiunsi dopo un bel po',  gli scivolai accanto in silenzio, tenendo ben saldi i libri contro il petto.
Mi ero preparata un bel discorsetto, gli avrei detto: Sai, quel tale, Mauro, che da un po'  mi gira intorno, mi ha chiesto se può venirmi a prendere a casa per portarmi a scuola, poi mi riaccompagnerebbe pure. Insomma, quello che ora fai tu lo farebbe lui, perciò non è più il caso che ti scomodi.
È pure amico di Luigi, mio fratello si fida anche di lui. E avrei atteso la reazione. Ma non dissi nulla, perchè lui allungò nsolitamente il percorso che portava a scuola, costeggiammo il lungomare, ci fermammo lungo il pontile, poggiò i gomiti sul parapetto e guardò lontano: io guardai lui a lungo (intanto che nelle orecchie mi ronzava il motivo di Johnny Hallyday
Que je t'aime Que je t'aime, que je t'aime, que je t'aime). Sperai che mi dicesse una parola d'amore, ma nel suo sguardo perso all' orizzonte lessi la libertà; e allora compresi che Sergio non sarebbe stato mai di nessuna donna: apparteneva solo a se stesso.
Per qualche tempo ancora facemmo insieme il solito tragitto casa-scuola, ma ora, pur permanendo l'amore in me, s'era dissolta la confusione.
...E poi la vita ci divise e non lo rividi mai più.

 

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