Francesca Santucci

Verso la luce

(racconto inserito nell’antologia collettiva “L’anno della luce”, edizioni Braviautori.com 2014)

 ad Angela

Ametista, adularia, avventurina, calcedonio, corniola, ematite, fluorite, galalite, ossidiana, quarzo ialino, quarzo citrino, quarzo rosa, rodocrosite, rubino, smeraldo, malachite, tormalina, turchese, smeraldo, rubino: hanno nomi fantasiosi, delicati, gentili, lievi come petali di rosa al vento, puri come acqua di sorgente, i cristalli, le pietre, i minerali, le gemme preziose, le semipreziose, dure, dense, luminose, pure, materia al grado massimo della loro coesione, magiche e misteriose creature incorruttibili, generate nella notte dei tempi nelle profondità delle viscere della terra, destinate a non invecchiare mai.
Quando si acquista una pietra, o una gemma o un cristallo, bisogna ben ripulirlo da ogni negatività, eliminare ogni precedente residuo fisico ed energetico mediante il rito della purificazione, ponendolo in un sacchetto e collocandolo fra due strati di sale in un recipiente non metallico, per un numero di giorni dispari a scelta, poi esporlo bene al sole per almeno mezz’ora.
Per ricaricare la nostra preziosa gemma occorre scegliere un luogo in penombra, avviare una rilassante musica di sottofondo, e lì tenerla fra le mani e respirare profondamente, finché non si avverta netta la percezione di essere entrati in sintonia con lei: allora si proverà una sensazione di profonda beatitudine, come per incanto si percepirà la sensazione della fisicità del proprio corpo; la stanza in cui saremo, con gli oggetti e le pareti ed ogni cosa intorno, svanirà d’incanto per lasciare spazio ad un tutto unico in profonda compenetrazione energetica. Tramite la gemma l’energia dell’intero creato fluirà in noi, e proveremo una sensazione di profonda pace.
Dopo, così ricaricata, avrà sempre bisogno di luce e sole, per questo non dovremo mai riporla in luoghi bui e nascosti.
Era l’adularia, la pietra di luna, la mia preferita (ma amavo anche lo smeraldo e l’ametista e la malachite e la turchese), sacra alle Dee, considerata la pietra dei desideri e della rigenerazione, capace di esaltare la femminilità e di equilibrare il lato femminile degli uomini, di aumentare le capacità psichiche e intuitive, attenuare il comportamento "lunatico", assorbire dispiaceri, sofferenze e malesseri, sostenere ed incoraggiare, ma ora solo il cristallo di rocca (quarzo ialino, “k
rystallos yalos, cristallo trasparente, simbolo di purezza, innocenza, verità, pura bellezza) indosso, in tutte le sue forme, ciondolo, pendenti, bracciale, collane, anche se mi rattrista pensare alla violenza che questo minerale, spirito di luce, deve subire per essere tagliato, levigato e modellato per poter essere variamento convertito in oggetto di nostro piacere.
Quanto simile il destino di noi umani a quello dei minerali, prima protetti nelle sacre profondità, poi esposti alla furia dell’esterno!
… Oggi trasloco, vado via, per scelta, dalla mia vecchia casa, ed ecco, mi sento come la gemma strappata a viva forza dalla sua roccia, ma sono consapevole che questo strappo non mi annienterà, bensì m’infonderà nuove energie, guidandomi dal buio verso la luce.
Volgo intorno lo sguardo e vedo le valigie, i borsoni, i mucchi di libri allineati, le scatole, gli scatoloni, i mobili fasciati, in attesa di andare.
Guardo le pareti della mia casa e mi sembra che assomiglino ai quadri dei pittori surrealisti, mi pare che abbiano occhi con i quali per anni ne hanno scrutato gli avvenimenti, occhi con i quali ancora mi fissano e minacciosi mi ammoniscono per questo trasloco che appare loro come una fuga. E mi sembra pure che abbiano orecchi per udire i miei sospiri di stanotte, così come hanno udito sorrisi e risa, grida ed imprecazioni, lamenti e silenzi nelle notti e nei giorni infiniti della mia solitudine.
Per anni e anni e anni ho abitato in questa casa, mi pare quasi di rivedermi bambina infiocchettata con i nastrini rosa fra i capelli ben pettinati, con le calzette bianche sempre linde e immacolate, le morbide scarpine di pelle, stupita, non felice, felice mai, con i miei genitori sempre inquieti, insoddisfatti, imbronciati, litigiosi, a rimproverarsi e a rinfacciarsi colpe e torti, reali o immaginari; poi adolescente insofferente, irrequieta, costretta con la testa china sui libri per non deludere le loro aspettative, soprattutto quelle di mio padre, severo, pedante, perennemente immusonito, precocemente ingrigito, mia madre, invece, donna un po’ farfalla, sempre svagata, persa dietro le sue fantasie.
E poi il tempo delle malattie, di mio padre, prima, di mia madre, poi. Allora queste pareti sembravano grondare sofferenza e sangue e dolore e morte, e quando rincasavo mi pareva d’entrare in una chiesa, in un convento, in un lazzaretto, in un ospedale, in un cimitero, in una tomba. M’investiva, m’aggrediva l’amaro odore dei medicinali e quello di ostia, incenso e sacrestia emanante dallo svolazzare delle uniformi delle infermiere prezzolate e non pietose, e delle tonache di preti e suore che circolavano per casa a tutte le ore, soprattutto queste ultime ossequiose e accondiscendenti verso mia madre, grande loro benefattrice, che le aveva fortemente volute, prima per il marito e poi per se stessa.
E l’odore si confondeva con i suoni monotoni e un poco cantilenanti dei rosari fervidamente recitati, prima per chiedere la grazia della guarigione e poi come viatico per l’anima nell’imminente trapasso, e diveniva un insopportabile olezzo che mi pareva già quasi di cadavere, finché non giunse il momento in cui, prima per l’uno, poi per l’altro, davvero arrivò la Signora di bianco vestita!
Allora pensai che potesse finalmente cominciare la mia vita, dal buio alla luce; seppure mentalmente prostrata dal dolore per i recenti lutti e fisicamente provata dalle notti trascorse a confortare, assistere, vegliare, mi sentii il cuore leggero come una piuma, ora potevo vivere la mia vita, libera di decidere, di scegliere, anche di sposare l’uomo che amavo e che i miei genitori avevano sempre ostacolato.
E mi parve che nelle pareti si aprissero squarci, varchi, finestre, dalle quali poter intravedere, presagio di future gioie, cieli luminosamente azzurri contro i quali si stagliavano rami ornati di rosei e candidi boccioli di mandorli, ciliegi e albicocchi in fiore…ma… altre delusioni, altri dolori mi attendevano al varco.
Quelle finestre immaginarie rapidamente come s’erano dischiuse si chiusero, e ripiombai nel buio.
Come pazza una notte mi alzai dal letto, m’era parso di sentire delle voci, avvertivo dei movimenti…ne ero certa: la casa viveva, aveva vita propria, vita funesta. I fiori profumati nei vasi mi parvero erbe velenose, le tende di candido voile grigie ragnatele, ogni cosa convertita, trasmutata, cambiata nell’opposto suo negativo.
A piedi nudi, i capelli scarmigliati, la camicia da notte che mi fluttuava intorno come ali di farfalla, nel buio cominciai a toccare a tastoni ogni parete, di ogni stanza: cercavo uno squarcio, un varco, una finestra per fuggire, per sfuggire all’animosità maligna ed ostile della casa… Non trovai nulla, solo mura impietose, senza calore, senza vita!
Mi ridestai all’alba, infreddolita, accucciata in terra, raggomitolata in me stessa, a ridosso della parete della mia stanza dov’era collocata una vera finestra; pazza che ero, ricordai che avevo pensato di buttarmi di sotto! Il mio sguardo si posò sulla enorme drusa di cristallo di rocca che usavo come fermacarte. Quel cristallo trasparente, quella “pietra di luce” dalle mille punte che gli sciamani ritenevano provenisse direttamente dal Cielo, mi sembrò circondarsi di un alone luminoso ed investirmi tutta con la sua ricca energia, tanto da avvolgermi come in una spirale di luce e rendere me stessa fonte di energia. D’improvviso mi sentii invadere da una sensazione di pace e di armonia, dissolto ogni conflitto, ritrovavo calma, forza e coraggio per intraprendere, finalmente, il cambiamento.
Allora decisi: sarei andata via, avrei abbandonato per sempre quel luogo nefasto, via, via, via…
Ed oggi vado, vado via di qui PER SEMPRE! Prenderò le ultime mie cose e me n’andrò. VIA! VIA! Sbatterò anche la porta! Sarò come una delle mie gemme, mi libererò dalle negatività precedenti, mi ricaricherò e poi ritornerò a splendere alla luce e al tepore del sole, sì, sono certa che sarà così.
In fondo, il passato non esiste, non esiste perché è già passato, conto solo l’oggi, il qui e il subito, ed io sono qui, ora: la mia vita comincia adesso! Vado verso la luce, torno a vivere!

 

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